italiani ad abu ghraib

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stella rossa
00mercoledì 22 febbraio 2006 21:42
Rai News24 intervista l'uomo fotografato durante le torture
"A condurre gli interrogatori contractors ingaggiati da ditte Usa"
La denuncia dell'incappucciato
"Abu Ghraib, anche italiani"
Palazzo Chigi: "Non risulta la presenza di connazionali"

La denuncia dell'incappucciato<br>"Abu Ghraib, anche italiani"








ROMA - C'erano anche degli italiani a condurre gli interrogatori nel carcere della vergogna di Abu Ghraib. Lo rivela Ali Shalal al Kaisi, il detenuto incappucciato con gli elettrodi della foto che ha fatto il giro del mondo. Riferendo la confidenza raccolta da un ex diplomatico iracheno, Haitham Abu Ghaith, "l'incappucciato" parla ai microfoni di RaiNews24 e sostiene che a condurre i tremendi interrogatori nel carcere iracheno c'erano anche contractors italiani ingaggiati da ditte americane. Il servizio con l'intervista andrà in onda domani alle 7.40 su RaiNews24. Palazzo Chigi ha intanto diffuso una nota in cui si afferma che "al governo non risulta la presenza di cittadini italiani ad Abu Grahib. E comunque il governo esclude in maniera tassativa che possa trattarsi di militari o di pubblici funzionari".

La testimonianza. Ali Shalal al Kaisi ha 42 anni; fu arrestato nell'ottobre 2003 a Bagdad con l'accusa di far parte della guerriglia. Studioso e insegnante di religione era un mokhtar, un'autorità amministrativa e religiosa in uno dei distretti della capitale irachena.
"Dopo quindici giorni di prigionia - ricorda l'ex detenuto - mi hanno tolto dalla cella, mi hanno messo una coperta con dei buchi, come se fosse un vestito tradizionale arabo. Mi hanno legato con del filo elettrico e messo su una scatola di cartone. Poi mi hanno detto che mi avrebbero elettrizzato se non avessi collaborato. Per tre giorni mi hanno colpito con scosse elettriche". "Ogni volta che usavano gli elettrodi - prosegue - sentivo gli occhi che fuoriuscivano dalle orbite. Una scossa è stata talmente forte che mi sono morso la lingua e ho cominciato a sanguinare. Sono quasi svenuto. Hanno chiamato un dottore, che ha aperto la mia bocca con gli stivali, ha visto che il sangue non veniva dallo stomaco ma dalla lingua e ha detto: 'Continuate pure'".

"Mi chiamavano uomo uncino". Ad Abu Ghraib, Ali Shalal veniva chiamato in gergo sprezzante Clawman, uomo uncino, per una tremenda ferita alla mano. "Prima di essere arrestato avevo subito un'operazione chirurgica alla mano. Ma quando sono entrato in prigione, gli americani hanno usato questa ferita come strumento di pressione. Mi dicevano: Se collabori ti possiamo aiutare a far diventare la mano come prima con un intervento chirurgico". Invece "con gli stivali calpestavano continuamente la mia mano ferita".

Ali si è rifugiato ad Amman, in Giordania, e ha fondato l'Associazione delle vittime delle prigioni americane. E' stato intervistato mentre seguiva un corso per Non violent action for Iraq tenuto da alcune Ong europee.

Violenze sessuali in carcere. Ai microfoni di Sigfrido Ranucci inviato di Rai News24, Ali Shalal dice di aver assistito personalmente ad abusi sessuali su uomini e donne: "Una soldatessa ha interrogato un religioso e gli ha chiesto di fare sesso con lei. Lui si è opposto; allora la donna è tornata, indossava un fallo finto e lo ha violentato. Abbiamo pure sentito delle donne portate in prigione che venivano violentate, che strillavano e chiedevano il nostro aiuto ma l'unica cosa che potevamo fare è gridare: Dio è grande e vincerà".

Era atteso in Italia Al Kaisi: sarebbe dovuto venire a Roma per raccontare la sua storia ma gli è stato negato il visto.

(22 febbraio 2006)
ISKRA!
00giovedì 23 febbraio 2006 01:42
Ranucci, dopo il video sul fosforo bianco, dimostra di non essere un episodio nel difficile campo del giornalismo di inchiesta bellico, che vede sempre meno inviati in grado di essere "dentro la notizia" al di là dei comunicati ufficiali, delle interviste ai responsabili di missione o ai governatori imposti dagli occupanti e del bollettino degli scontri di giornata.

L'affare Abu Graib è pesante, rimangono là dentro più di metà dei detenuti di tutto l'Iraq, in condizioni che non è ancora lecito stabilire come umane. Nonostante l'accaduto, che è comunque noto seppure in maniera non sempre particolareggiata, abbiamo assistito nell'ultimo anno alla volontà di tacitare la stampa (solo da pochi giorni si sono potute visionare le altre immagini, prima bloccate da Wagshinton), al processo frettolosamente chiuso senza coinvolgere le alte sfere, alla continuità gestionale del carcere, dopo alcune liberazioni servite ad evitare rivolte memorabili, nei momenti difficili della crisi Irachena. Tutto questo dimostra una volta in più gli "effetti collaterali" dell'esportazione della democrazia in punta di baionetta.

Quanto agli eventuali italiani... Mercenari...
Non ne sarei particolarmente sorpreso, purtroppo... Anche se attualmente la fonte della presunta presenza italiana è ancora indiretta, quindi solo parzialmente affidabile... Certo, l'affrettata smentita rientra nel quadro di un profilo internazionale del nostro paese che è in notevole difficoltà sul versante dell'opinione pubblica islamica, e che subirebbe un ulteriore scossa d'immagine sapendo che tra i torturatori si parla anche l'idioma del belpaese.

Non sono grandi giorni...

[SM=x584438]
Slobodan
00giovedì 23 febbraio 2006 15:20
Re:

Scritto da: ISKRA! 23/02/2006 1.42


Quanto agli eventuali italiani... Mercenari...
Non ne sarei particolarmente sorpreso, purtroppo... Anche se attualmente la fonte della presunta presenza italiana è ancora indiretta, quindi solo parzialmente affidabile... Certo, l'affrettata smentita rientra nel quadro di un profilo internazionale del nostro paese che è in notevole difficoltà sul versante dell'opinione pubblica islamica, e che subirebbe un ulteriore scossa d'immagine sapendo che tra i torturatori si parla anche l'idioma del belpaese.


[SM=x584438]



potrebbe anche solo trattarsi di italoamericani...

Sui mercenari:ognuno fa il lavoro che preferisce,l'importante è che non si pretenda di dedicare vie a chi muore "sparato" in iraq sbattendosene di chi perde la vita in molise facendo il gaurdiano di ovini infilzato da un caprone...

E la fantomatica opinione pubblica islamica se giudica il nostro Paese dai Quattrocchi e non dai Dulbecco...si fotta pure.
ISKRA!
00sabato 25 febbraio 2006 03:36
Re: Re:

Scritto da: Slobodan 23/02/2006 15.20
E la fantomatica opinione pubblica islamica se giudica il nostro Paese dai Quattrocchi e non dai Dulbecco...si fotta pure.



Eh... lo so...
Sarà che Dulbecco non va nè sull'Isola dei Famosi nè su AlJazeera... [SM=x584436]

Gioco di parole per utenti più che esperti: in arabo AlJazeera significa effettivamente "l'isola".
Modificato da ISKRA! 25/02/2006 3.39
Slobodan
00sabato 25 febbraio 2006 09:23
Re: Re: Re:

Scritto da: ISKRA! 25/02/2006 3.36


Eh... lo so...
Sarà che Dulbecco non va nè sull'Isola dei Famosi nè su AlJazeera... [SM=x584436]




Beh, ha presentato il festival di sanremo,cazzo vogliono di più?!? [SM=x584435]
Slobodan
00martedì 28 marzo 2006 09:01
E ITALIANI A NASSIRIYA...
Archeologi e militari recuperano rarissime tavolette sotto
ad una postazione di artiglieria di Saddam Hussein

Gli italiani trovano a Nassiriya un'antica biblioteca sumera
di GIAMPAOLO CADALANU

NASSIRIYA - La collinetta sopra il villaggio dell'antica Eridu era un posto strategicamente invitante. Alta e isolata, in una regione desolata e pianeggiante: ai generali di Saddam Hussein era sembrata il posto ideale per mettere una postazione antiaerea. Nessuno poteva obiettare. Il sito archeologico che stava lì sotto, ben noto agli studiosi, era l'ultima preoccupazione. c'era infatti da affrontare l'esercito americano nella madre di tutte le battaglie. L'unità irachena era durata pochissimo, spazzata via dall'aviazione Usa nei primi momenti dell'offensiva. Nell'attacco degli F-16 qualcosa si era smosso sotto il terreno. Tavolette di argilla e pezzi di pece, insolitamente lisci, erano rimasti sparsi sotto il sole e la polvere della provincia di Dhi Qar. Fino a ieri.

Nel frattempo, "Antica Babilonia" aveva stabilito il suo quartier generale poco lontano. Aveva avviato il suo impegno, l'aiuto nella ricostruzione del paese, a due passi dalla ziqqurat di Ur, simbolo dell'antica capitale sumera. Pochi mesi prima l'esercito del raìs, senza nessuno scrupolo, l'aveva trasformato in un'altra postazione antiaerea, ma per fortuna il tempio era sopravvissuto all'offensiva degli alleati. Però i soldati non avevano molto tempo per il turismo. Le operazioni umanitarie, gli sforzi per la ricostruzione, gli aiuti alla gente, la sorveglianza alle strutture superstiti e ai pozzi di petrolio, erano impegno più importante.

E quando all'inizio di marzo una delegazione del Consiglio nazionale delle ricerche, guidata da Giovanni Pettinato, grande esperto di culture mesopotamiche, è arrivata in Iraq per verificare che cosa era rimasto delle ricchezze archeologiche, qualcuno da Roma ha chiesto che i soldati garantissero la sicurezza degli studiosi. Un incarico in più, fra i tanti, in mezzo alla polvere del deserto, da accettare senza discussioni.
Tanto più che fra i carabinieri della Unità specializzata multinazionale c'erano anche esperti di archeologia, utilizzati per preparare le guardie irachene a combattere i tombaroli e dunque ben disposti a scorrazzare gli studiosi sui siti della ricerca, a coprirgli le spalle e ad assisterli nella ricerca.

Poi dai sassi delle colline attorno a Nassiriya sono emersi i tesori. Prima è saltata fuori la pietra angolare di un tempio dedicato al dio Nanna, con un'iscrizione che Pettinato ha subito letto. "Letto", insiste con orgoglio il professore, "non tradotto". Ieri poi fra le zolle del Dhi Qar prosciugate dal sole sono ricomparse le tavolette di argilla e i pezzi di pece, distribuiti dall'esplosione o forse anche da un cedimento del terreno. Silvia Chiodi, collaboratrice di Pettinato, si è fermata incredula: sulle tavolette, e anche sulla pece, c'erano tracce di iscrizioni. "Si sbracciava gridando: Giovanni! Giovanni! Vieni immediatamente!", racconta lo studioso.

L'entusiasmo era giustificato: i reperti testimoniavano che il sito di Eridu, conosciuto come "preistorico", in realtà ospitava opere scritte. "Testi storici, letterari, lessicali del periodo paleo-accadico", dice Pettinato: in parole povere, scritti di ogni tipo, persino nozioni di botanica e mineralogia, compiti scolastici e testi accademici dell'antichità. I pezzi di pece, invece, hanno conservato le iscrizioni agendo come un calco. In passato qualcuno aveva cercato di utilizzare le tavolette d'argilla come mattoni da costruzione, usando la pece come collante: le iscrizioni sono impresse "in negativo" sulla pece, e non è improbabile che possano servire a sostituire pezzi mancanti.
L'esperto di assirologia non ha esitazioni: "Non si sbaglia se si definisce questo ritrovamento l'enciclopedia più antica della storia dell'umanità", aggiunge il professore, e va oltre: "Questa scoperta ci costringerà a riscrivere i libri di storia. I miei, quelli degli altri: tutti".

Pettinato e i suoi hanno contattato Bagdad, per segnalare il ritrovamento ai responsabili del museo della capitale, che ora dovranno provvedere alla raccolta e alla catalogazione degli scritti. Poi è tornato a Campo Mittica, dove era difficile capire chi fosse più soddisfatto, fra i soldati della Brigata Sassari e gli archeologi. I militari hanno offerto a Pettinato un giro sull'elicottero HH-3F per vedere Eridu dall'alto. Ma il professore ha sorriso: "No. La nostra parte è finita".

(28 marzo 2006)
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