guerra nucleare preventiva

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stella rossa
00sabato 22 ottobre 2005 15:29
01/10/2005
Usa-Iran, scontro apocalittico?

di Mir Mad


Oramai è di dominio pubblico che il Pentagono ha pianificato anche l'uso di armi nucleari tattiche contro l'Iran. La dottrina della "guerra preventiva" stile neocon sta facendo un pericoloso salto di qualità e senza preoccuparsi delle inevitabili, devastanti conseguenze per l'intera umanità potrebbe trasformarsi in una "guerra preventiva nucleare". Secondo quanto ha scritto The Nation (21 luglio 2005), George Bush “ha dato al Dipartimento della Difesa la sua approvazione alla preparazione di diversi scenari per un attacco”. L'autore dell'articolo, Michael Klare, esperto di problemi della difesa, afferma di essere a conoscenza del fatto che i piani del Pentagono già esistono e prevedono l'uso di armi convenzionali e atomiche su oltre 400 obiettivi iraniani già identificati e scelti.
Philip Girali - ex membro della Cia e fonte attendibile, che recentemente ha fornito informazioni sull'Iran a Seymour Hersh- afferma: "A Washington non è un segreto che gli stessi personaggi dentro e attorno l'amministrazione Bush che hanno montato la vicenda irachena, si stiano preparando a fare lo stesso con l'Iran. Il Pentagono, agendo dietro istruzioni dell'ufficio del vicepresidente Dick Cheney, ha incaricato lo “United States Strategic Command” (Stratcom) di elaborare un piano da impiegare in risposta a un altro attacco terroristico contro gli Stati Uniti del tipo dell'11 settembre. Il piano include un attacco aereo su larga scala contro l'Iran, con l'utilizzo di armi sia convenzionali che nucleari tattiche [ le "bunker busters", ndt ]. In Iran ci sono più di 450 obiettivi strategici di primaria importanza, comprendenti numerosi siti sospetti per lo sviluppo di armi nucleari. Molti di questi sono rinforzati o sotterranei a grande profondità e non possono esser distrutti da armi convenzionali. Da qui l'opzione nucleare. Come nel caso dell'Iraq, la risposta non dipenderà dal fatto che l'Iran sia realmente coinvolto nell'atto terroristico diretto contro gli Stati Uniti. Diversi ufficiali di alto rango dell'Air Force implicati nella stesura del piano sono inorriditi di fronte alle implicazioni di quello che stanno facendo -la preparazione di un attacco nucleare non provocato contro l'Iran- ma nessuno è disposto a compromettere la propria carriera sollevando obiezioni" [Philip Giraldi, "Deep Background", The American Conservative , 1 agosto 2005 ( Traduzione: G.Garibaldi].

Il piano cui si riferisce Giraldi è il "Conplan 8022" , già "svelato" da William Arkin lo scorso 14 maggio sulle pagine del “Washington Post” e pubblicato anche da “Newsweek” e appunto è stato elaborato dallo Stratcom, un tempo responsabile soltanto dell'arsenale nucleare strategico, ma recentemente riformato e incaricato di pianificare il "global strike" con opzioni sia convenzionali che nucleari.

Anche se l'autorevole l'IISS - “International Institute for Strategic Studies” - di Londra, nel suo “Ilss Strategic Weapons Programmes, September 6 2005” sostiene che, anche nel caso esista un piano per la costruzione degli armi nucleari, Teheran ha bisogno ancora di diversi anni, – “Pubblic estimates for how long it would take Iran to acquire nuclear weapons range from only a few years to at least a decade”- lo stesso istituto e diversi esperti autorevoli come Arvand Abrahamiayan dell'Università di New York sostengono che tra Usa e Iran “uno scontro è inevitabile” e un scontro del genere -altro che la guerra contro l'Irak- senza ombra di ironia potrà infiammare davvero l'intero pianeta e aprire le porte dell'inferno.

Il presidente Bush, rispondendo alle domande dei giornalisti riguardo alla ripresa dei lavori del programma nucleare iraniano – dichiarato per uso pacifico e sotto il controllo dell' Iaea e nell'ambito dei trattati di non proliferazione nucleare Npt- ha sostenuto che tutte le opzioni sono sul tappeto. Ha detto anche che "un eventuale attacco aereo israeliano avrà il sostegno degli Stati Uniti", mentre l'Europa, attraverso il cancelliere Schroder ha dichiarato di non voler seguire né sostenere un intervento militare.

Il piano dovrebbe funzionare cosi: in seguito a spettacolari attentati terroristici in Usa firmati al-Qaeda e bin Ladin -o qualche gruppo di nuova formazione-, attacchi aerei americani potrebbero partire dall'Azerbaijan o dalla base Shindand in Afghanistan oppure dalla base di Khanabad in Uzbekistan che sta per essere trasferita in Turkmenistan (Mary2) o dalle basi in Turchia e in Irak o direttamente dalle navi Usa nel Golfo Persico. Gli attacchi individuerebbero gli obiettivi basandosi sulle informazioni raccolte dai droners, gli aeri spia senza pilota, e sarebbero preceduti o seguiti fomentando le rivolte etniche nelle regioni del Khuzestan e del Kurdestan iraniano, in accordo con certe fazioni scite moderate (ci sarebbero diversi nomi) o filoamericane (Hossein Khomeini, Hassan Sadr per esempio). Il “regime change”, infatti sarebbe conseguenza di rivolte popolari contro il regime impopolare degli ayatollah e con l'aiuto della potente comunità iraniana d'America. Secondo Scott Ritter, l'ispettore dell'Onu per le armi in Irak, con la penetrazione nello spazio aereo iraniano ed altri atti, l'amministrazione Bush è già in una guerra non dichiarata contro l'Iran. Secondo autorevoli analisti: un attacco aereo contro gli impianti nucleari dell'Iran potrebbe essere estremamente incauto e poco saggio perché gli impianti sono sparsi su un vasto territorio e sono nascosti sotto terra e difficilmente identificabili. Inoltre con il prezzo del petrolio arrivato anche a 60-70 dollari l'Iran importante paese produttore insieme al suo seguito scita-petrolifero in Irak e nei vari paesi del Golfo Persico potrebbe causare un collasso all'economia mondiale. Inoltre la storia insegna che da più di 5000 anni i popoli dell'Iran di fronte al pericolo straniero si sono riallineati al potere di turno per poter difendere la propria autonomia e indipendenza.

Scrive Fareed Zakaria su “ Newsweek ” (22 agosto, 2005): un attacco militare straniero rafforzerebbe il supporto popolare al programma nucleare e il sostegno all ' impopolare regime. Iran è un paese con una forte tradizione di nazionalismo ed è uno delle pi ù antiche nazioni del mondo.

R.Hunter, ex rappresentante degli Usa presso la Nato durante l'amministrazione Clinton, in un intervista a Radio Farda sostiene: un eventuale attacco all'Iran minaccerà la sicurezza degli Usa per diverse generazioni. Hamid al-Bayati vice ministro degli esteri irakeno ha affermato: se l'Iran avesse voluto avrebbe reso l'Iraq un inferno per gli Usa. Mentre “ar Riaz”, settimanale saudita sostiene: un attacco all'Iran infiammerà tutti i pozzi petroliferi della regione e ciò equivale alla terza guerra mondiale. Jim Leach, in un discorso al Congresso, ha sostenuto che il mondo islamico comprende la logica del nostro intervento in Afghanistan dove "sono stati pianificati gli attacchi dell' 11 Settembre", ma non solidarizza con la nostra politica in Iraq che non aveva nessun legame con l'attentato. Secondo Leach se avvenisse un terzo caso d'attacco contro l'Iran si realizzerebbe quel che Samuel Huntington definisce "un scontro pieno tra le civiltà". La Task Force di Brzezinski, composta da 22 esperti al massimo livello – è stata istituita appunto per monitorare la vicenda e prevenire uno scontro catastrofico - ha tracciato un percorso di lavoro e ha consigliato la Casa Bianca di evitare ogni attacco e cercare di trattare l'Iran come la Cina, dialogando. Lo stesso Zakaria facendo una razionale riflessione propone responsabilmente:

There are lots of reasons to be suspicious of Iran. But the real question is, Do we want to try to stop it from going nuclear? If so, why not explore this path? Washington could authorize the European negotiators to make certain conditional offers, and see how Tehran responds. What's the worst that can happen? It doesn't work, the deal doesn't happen and Tehran resumes its nuclear activities. That's where we are today.

La troika europea e le trattative.

Dopo lunghissime trattative portate avanti realisticamente e responsabilmente dall ' Europa,, Tehran aveva accettato nel Novembre del 2004 di sospendere unilateralmente e volontariamente il progetto di arricchimento dell ' uranio, come “ gesto di buona volont à” fino a 31 Luglio del 2005, termine in cui l ' Europa avrebbe dovuto presentare delle proposte, per esempio offrendo in cambio rapporti commerciali e garanzie di sicurezza (lo pu ò davvero fare?). Ci ò mentre vari esponenti dell ' amministrazione Bush andavano dichiarando ripetutamente e continuamente di avere sul tavolo “ ogni opzione ” , preparavano i piani militari e il plenipotenziario Usa all ' ONU, John Bolton dichiarava che ogni trattativa con gli ayatollah “è destinata a fallire ” .

A seguito delle continue e sempre maggiori pressioni di Washington su vari fronti contro l ' Iran, il blocco della destra militar-religiosa che a Tehran come a Washington è chiamata neoconservatrice, ha fatto uscire dalle urne presidenziali dello scorso giugno il nome del duro Ahmadinejad, escludendo contro l ' aspettativa europea il pragmatico conservatore Rafsanjani. L ' Europa allora ha chiesto un rinvio di sei giorni della moratoria per poter presentare le proprie proposte. L ' Iran ha risposto di non poter concedere altro tempo e ha iniziato sotto osservazione degli ispettori dell ' IAEA (Agenzia delle Nazioni Unite per Energia Nucleare) alcune attivit à di ricerca e la produzione di “ yellow cake ” nell ' impianto UCF di Isfahan, attivit à che non riguardano direttamente il ciclo dell ' arricchimento dell ' uranio e sono riconosciute come diritto ai membri firmatari dei trattati di NPT.

L'Europa, sempre più in affanno tra i due neocon - di Washington e di Tehran - ha avvertito l'Iran che “ogni movimento unilaterale” sarà considerato “ pregiudizievole e non necessario” e renderà “molto difficile” la continuazione delle trattative. Anche se William Pfaff sulle pagine di “International Herald Tribune” (13 agosto 2005) ha sostenuto: “ Alla base della controversia sul programma nucleare iraniano, risiede una posizione americana sul tema della non-proliferazione nucleare che nel lungo periodo non è sostenibile. Buona parte della comunità politica internazionale comprende che le cose stanno così. È forse ora che la comunità politica di Washington scenda a compromessi con questa realtà”.

Affermando ciò Pfaff ha voluto suggerire realisticamente all'Europa la ricerca di soluzioni più equilibrate. Ma finora non sembra che l'Europa abbia potuto produrre un pacchetto accettabile o tale da far camminare il negoziato. Anzi la troika europea (Inghilterra, Francia e Germania), capeggiata in questa fase dall'Inghilterra di Tony Blair, sembra cedere alla posizione dell'amministrazione Bush, atteggiamento che ha portato ad un punto morto le trattative, dando cosi la possibilità ai neocon di poter aprire le porte dell'inferno con la scusa e l'accusa della produzione e dell'accumulo di armi di distruzione di massa da parte di Tehran, rievocando cosi il dramma irakeno.

Nella questione nucleare iraniana sono da tenere presenti alcuni punti:

• A differenza di quel che sostiene Kenneth Pollock sulle pagine di Foreign Affaire - March/April 2005- Non solo non è stata trovata la pistola fumante o “smoking gun” ma nemmeno un qualche elemento pur minimo che possa dimostrare che l'Iran stia portando avanti una ricerca diversa da quella per l'uso pacifico del nucleare. C'è un documento ufficiale e riassuntivo, del novembre 2004, dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica che afferma a chiare lettere che “non esistono prove che l'Iran stia costruendo armi nucleari”.

• Finora qualsiasi attivit à inerente al nucleare iraniano è stata comunicata agli organismi internazionali di competenza e si è svolta sotto l ' osservazione degli ispettori dell ' IAEA. Gli ispettori dell ' Agenzia hanno avuto sempre e tempestivamente la possibilit à di entrare in tutti i siti e negli impianti per rilevamenti e rispettivi controlli.

• L'Iran sotto la presidenza di Khatami è stato promotore, nel 2003, di una proposta per la creazione di un Medio Oriente denuclearizzato. Il progetto, appoggiato dall ' Egitto, dalla Giordania e da diversi altri paesi del Medio Oriente, è stato accantonato per la netta contrariet à di Washington. Era pronta anche una risoluzione da presentare al Consiglio di Sicurezza dell'Onu nel dicembre 2003, ma fu ritirata perch é gli Stati Uniti minacciarono il veto. Un ' eventuale risoluzione in tal senso avrebbe richiesto il controllo degli armamenti nucleari israeliani gi à esistenti (almeno 200 testate ) e Washington non intendeva permetterlo.

• Oltre Israele, c 'è il Pakistan del generale golpista Musharaf che possiede il nucleare e non ha firmato, cos ì come non l ' ho ha fatto l ' India, l ' altra potenza nucleare, neanche i Trattati di non Proliferazione Nucleare (NPT). Anche se i generali di Musharaf gestiscono tuttora il bazar dal materiale nucleare, non gli viene chiesto nulla. Il presidente Bush nel contempo promette a Manmohan Singh premier indiano di collaborare con l ' India per sviluppo del nucleare e questo contro il trattato stesso che vieta ai membri di collaborare nel settore con i paesi non firmatari.

• Il Brasile è un membro di NPT, eppure dichiaratamente porta avanti un progetto di ricerca nucleare e dichiaratamente non intende aprire gli impianti agli ispettori .

Come sostiene, W.Pfaff : “ alla base della controversia sul programma nucleare iraniano, risiede una posizione americana sul tema della non-proliferazione nucleare che nel lungo periodo non è sostenibile. Buona parte della comunit à politica internazionale comprende che le cose stanno cos ì . È forse ora che la comunit à politica di Washington scenda a compromessi con questa realt à . L'impegno dell'America a bloccare la proliferazione nucleare produce effetti perversi. In un periodo di crescente instabilit à nel Medio Oriente, con gli Stati Uniti impegnati in due guerre in paesi islamici, tale determinazione aumenta il fascino delle armi nucleari per quei governi che non le posseggono, e rinforza il loro valore percepito come punto di forza politico e deterrente contro attacchi stranieri ” .

Pfaff però non prende in considerazione che le motivazioni dell'amministrazione Bush vanno al di là della questione nucleare. L'Iran, che è incuneato tra le risorse energetiche del Golfo persico e il Mar Caspio, sta emergendo come una potenza regionale non solo al di fuori del controllo dei costruttori dell'impero ma che sfida gli Stati Uniti ( vedi: Ilan Barman in Tehran Rising: Iran's Challenge to the United States) e ha avuto per la prima volta il coraggio d'introdurre verso la metà del 2003 il sistema del “petro –euro” rompendo il monopolio del petro-dollaro e, soprattutto, sta diventando la base energetica di una nuova area geopolitica ( Shanghai Cooperation Oraganization ) con al centro la Cina, che comincia a considerare la sicurezza dei propri fornitori di energia come la propria. Infatti nell'ultima riunione dei governatori dell'Iaea, l'Europa capeggiata da Blair, abbracciando la posizione americana con la risoluzione 2005/77 del 24 settembre scorso, ha voluto mandare il caso iraniano al Consiglio di Sicurezza dell'Onu per le sanzioni, una posizione che ha incontrato la resistenza della Cina e della Russia. Una certa Europa con questo atteggiamento e seguendo la linea di Bush si è resa partecipe della politica dei neocon che ha portato al potere in Iran i neoconservatori d'ispirazione militarista, forse per arrivare allo scontro e avere il pieno dominio del Medio Oriente. Tutto questo sta isolando e indebolendo, in Iran e altrove, lo sviluppo delle lotte civili delle forze democratiche, che, fra l'altro, meriterebbero, da parte dell'Europa, una maggiore attenzione.

Gli ayatollah si preparano alla guerra.

E ' noto che l ' Iran erede dell ' antica Persia è il paese chiave del Medio Oriente e nei secoli ha esercitato un ' influenza notevole su tutta la vasta regione che si estende dal Kashmir fino al Mediterraneo. Nel mondo bipolare uscito dagli accordi di Yalta, l ' Iran doveva e ha fatto parte del campo americano. Ora che il mondo è caratterizzato da un'unica superpotenza e secondo la logica unilaterale di quest ' Amministrazione americana che tende ad annullare i problemi piuttosto che a risolverli, l ' Iran non pu ò rimanere fuori controllo, tanto meno esercitare su un ' area cosi vasta un ' influenza in contrasto con gli interessi degli Stati Uniti. Con la riconquista dell ' Iran gli Usa:

• Avranno il controllo quasi totale delle risorse energetiche situate tra Golfo persico e il mar Caspio e tutte le aree annesse. In questo modo è facile avere sotto controllo l ' Europa e il Giappone, la Cina e l ' India come maggiori importatori e consumatori di idrocarburi, attuali e futuri.

• Terranno sotto osservazione Russia, Cina, India, con un diretto controllo sull ' Asia Centrale ex-Sovietica, sul mondo arabo, sul subcontinente indiano,

• Potranno rimodellare a proprio piacimento il turbolento mondo arabo-islamico, instaurando nuovi regimi subordinati nell ' ambito del progetto del "Grande Medio Oriente". E togliendo appoggio finanziario e logistico alla componente combattente (Hamas-Jihad-Hezbollah) di questo mondo per dare mano libera a Israele di gestire la questione palestinese a proprio compiacimento.

• Potranno riordinare le dispute e le contese caucasiche – Abkhazia in Georgia, Karabakh tra Armenia e Azerbaijan, Cecenia, … - secondo gli interessi e i piani di Washington, facendo uscire, con l ' aiuto della Turchia, definitivamente il Caucaso e possibilmente l ' area transcaucasica dall ' influenza russa. Ci ò permetterebbe di garantire nella prima fase la sicurezza dell ' oleodotto Baku-Jayhan e spostarlo in seguito verso la pi ù sicura e pi ù economica rotta iraniana che condurrebbe il petrolio nel Golfo Persico e di l à verso i mari aperti per farlo arrivare al consumatore finale con costi minori e sotto la regia e il controllo degli Usa.

• Potranno imporre alla cultura persiana, che ha attratto nei millenni popoli e culture dal Kashmir(la stessa famiglia Khomeini è originaria del Kashmir) fino al Mediterraneo (Libano in particolar modo) la reintroduzione del modello monarchico che ha ingessato nei millenni la mobilit à sociale, utilizzando la potente comunit à iraniana d ' America, per poter divulgare l ' "american lifestyle" in tutta questa vasta regione.

A Teheran l'ala conservatrice del clero in pieno accordo con la nuova destra proveniente dagli ambienti di Pasdaran e Basigi (l'esercito irregolare e la milizia politica), dopo aver vinto le elezioni locali, secondo il copione hanno messo le mani anche sul settimo parlamento (Majlis) facendoci entrare più di 100 comandanti provenienti dalle file dei Pasdaran e dei vari servizi. L'ultimo assalto dei neocon iraniani è stato contro la Presidenza della Repubblica che facendo uscire dalle urne miracolate dal copione il nome di Ahmadinejad ha estromesso qualsiasi moderatismo, ha costruito un saldo potere di stampo militarista - integralista capeggiato dal leader Khamenei e dagli organi non elettivi che sono i veri detentori del potere.

Conquistato tutto il potere ne hanno cominciato a far parte sostanzialmente pasdaran e uomini provenienti dai vari servizi. Uno dei primi atti del Consiglio di Ministri diretto da Ahmadinejad è stato l'approvazione di un decreto legge che destinava 700 milioni di dollari per la “difesa sacra”. Mentre il leader Khamenei, come Comandante Supremo, togliendo il comando all'esercito regolare (battaglione 88 dell'esercito) e alla polizia di frontiera lo ha passato ai pasdaran nelle cinque regioni occidentali del paese che confinano con l'Irak. E proprio in queste regioni da dove gli americani sperano di fomentare le rivolte popolari, i pasdaran hanno ammassato 250,000 uomini costruendo basi e accampamenti sulle montagne di Zagros. Il leader Khamenei, guida suprema, ha sostituito ministro della difesa, comandante dell'esercito regolare, 11 comandanti pasdaran e 5 comandanti basigi mentre i quadri dirigenti dei ministeri sono stati sostituiti con uomini dei servizi. Il previsto piano di Khamenei per raddoppiare entro il 2010 la spesa militare grazie agli attuali elevati proventi petroliferi verrà anticipato al 2008.

Anche nella capitale ci sono chiari segnali che il regime si sta preparando alla guerra. I ministeri degli interni e delle informazioni sono stati occupati da personaggi radicali. I governatori e i sindaci nominati dal ministero degli interni in maggioranza sono ex pasdaran. Nelle vicinanze di Qom la citt à santa sede dei seminari e del clero si sta ergendo la base militare Fadak su un area vasta 7,2 km quadrati. I vari leader del regime fanno continui viaggi nella citt à santa di Mash-had dove, secondo voci, sono stati costruiti rifugi sotto il veneratissimo mausoleo dell ' ottavo imam scita (Reza) che vede sempre presenti milioni di pellegrini sciti e per questa ragione non bombardabile per non suscitare l ' ira dei fedeli sciti. Si parla di Va ' ez Tabasi come successore di Khamenei nel caso di morte o decesso.

Cominciano a circolare addirittura ipotesi dettagliate sul possibile attacco: le truppe anglo-americane inizierebbero l'offensiva su tre assi, Shalamceh, Hamroon e Arvandrud, per prendere il controllo della regione petrolifera del Khuzestan che produce il 70% del petrolio iraniano. Tenendo sotto controllo i pozzi petroliferi si mantengono stabili i mercati. In questo caso le unità iraniane partendo dal sud del Kurdestan, dalla località Zainalkoosh attaccherebbero gli angloamericani verso Bakubah con l'aiuto della Brigata Badr e degli sciti irakeni.

Gli ayatollah sono convinti che gli attacchi aeri e missilistici Usa prima e poi arriveranno, e come dice Amir Taheri sul “ New York Post” del 21 settembre sperano che ci sia anche una partecipazione israeliana negli attacchi per poter infiammare il mondo islamico e trascinarlo sulle proprie posizioni. Nel quadro di questa logica gli Hezbollah libanesi attaccherebbero Israele e Hamas e Jihad palestinese – i cui leaders sono stati ricevuti nelle settimane scorse da Khamenei – alzerebbero il livello dello scontro. In Afghanistan la componente etnica Tadjika e gli sciti Hazarah, insieme a Hekmatyar, darebbero l'assalto alle forze anglo americane. In Pakistan il 25% dei sciti sono considerati una risorsa mentre si sta lavorando tra i 160 milioni di mussulmani indiani, in parte sciti. Ci sarà la rivolta della maggioranza scita del Bahrain, mentre le minoranze scite sparse in Africa e nella penisola arabica comincerebbero i tumulti. Anche se si tratta di ipotesi, il quadro che emerge è alquanto drammatico ed è allarmante che, nonostante tutto, nonostante gli scenari devastanti per l'intera umanità di una guerra contro l'Iran, le due amministrazioni neocon continuino nei loro preparativi bellici.

di Mir Mad

(fonte: www.megachip.info)
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