Vive la France!

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ISKRA!
00domenica 16 aprile 2006 20:42
La Francia è Malata.

di IGNACIO RAMONET


UN ORGANISMO in via di fallimento, palesemente da rìformare: così appare la Francia, sullo sfondo delle angosce sanitarie per i timori di peste aviaria, agli occhi di una schiera di declinologi dì, destra (1). Un pessimismo accentuato da avvenimenti recenti di natura disparata, che aggravano il malessere generale dando l'impressione di uno sfascio delle istituzioni: catastrofe giudiziaria e naufragio mediatico del processo ai «pedofili» di Outreau, legge del 23 febbraio 2005 che accredita il «ruolo positivo» del colonialismo (2), marasma a proposìto della portaerei Clemenceau, sommosse delle banlieue nel novembre 2005, ripiegamenti identitari e affermazione dei comunitarismi nella vicenda delle caricature di Maometto e in quella dell'odioso assassinio del giovane Ilan Halimi, privatizzazione camuffata di Gaz de France ecc.

Le Cassandre della «Francia allo sfascio» descrivono un Paese che affonda in una sorta di disperazione collettiva, che si sarebbe manifestata in particolare a partire dal 29 maggio 2005, con il «no» al progetto di Trattato costituzionale europeo. «La Francia - afferma ad esempio il capofila dei «declinologi» Nìcolas Baverez -si è isolata in una bolla di demagogia e di menzogne, e i politici hanno rifiutato di dire la verità ( ... ) Non hanno il coraggio delle riforme, perché temono le rivoluzioni. Ma a provocare le rivoluzioni è precisamente l'assenza di riforme (3)».

Per dire basta a questa Francia Malata in un'europa decandente, invocano un risanamento liberista. Ormai da tempo, nella convinzione che sia sufficiente azionare alcune semplici leve - raccomandano la deregulation del mercato del lavoro. In questo contesto allarmista il primo ministro francese Dominique de Villepin, pressato dai «rotturisti» e accusato di essere «eretto davanti a Bush ma supino davanti alla Cgt», avrebbe deciso di rompere «Vattendismo delle élite» per realizzare infine la riforma occupazionale.

L'estate scorsa ha dunque fatto votare in tutta fretta il contratto di nuova assunzione (Cne), entrato in vigore il I* settembre 2005, per le imprese con meno di 20 dipendenti - cioè due terzi delle imprese francesi. La principale innovazione riguarda le modalità della sua rescissione. Come ha detto l'ispettore del lavoro Gérard Filoche, «si tratta essenzialmente di un "nuovo diritto di licenziamento" : si può mettere alla porta chiunque, in qualunque momento, senza un motivo né una procedura né una possibilità di ricorso! (4)».

VENDO INCONTRATO una resistenza assai moderata contro questo tipo di contratto, che risponde alle vecchie richieste del padronato, Dominique de Villepin ha creduto di poter sfondare un'altra volta con il Cpe, destinato alle imprese di più di 20 dipendenti e riservato ai giovani fino a 26 annì d'età, che ha fatto votare l'8 febbraio scorso senza un vero dibattito parlamentare. Come per il Cne, durante i primi due anni il datore di lavoro può rompere il contratto senza addurre una motivazione scritta.

Il primo ministro ha tentato di spiegare la strana natura del Cpe sostenendo che dopo le recenti sommosse nelle banlieue fosse urgente favorire l'assunzione di giovani privi di formazione. Ma l'argomento non ha convinto. In brevissimo tempo, nelle università e con l'appoggio immediato dei principali sindacati, l'opposizione al CPE ha assunto una dimensione e un'intensità considerevoli.

La posta in gioco è tanto politica quanto simbolica. Dopo la grave sconfitta subita nel luglio 2003, quando fu votata la legge per le pensioni, il movimento popolare in Francia aveva bisogno di una riscossa. Per di più, i cittadini ritengono che accettare il Cpe dopo aver dovuto subire il Cne equivarrebbe a dare il via libera smantellamento totale del codice del lavoro, sacrificandolo sull'altare della flessibilità e dì una definitiva precarizzazione dei lavoratori.

Contrariamente a quanto afferma la destra che l'accusa di essere oggi il «malato d'Europa», la Francia è un paese che resiste. Uno dei pochi in Europa dove una maggioranza di lavoratori dipendenti, dando prova di una formidabile vitalità, rifiuta la globalizzazione selvaggia, che significa la cessione di tutto il potere alla finanza. E l'abbandono dei cittadini all'arbitrio delle imprese, mentre lo stato se ne lava le mani. Questa modifica radicale del rapporto tra i pubblici poteri e la società - la fine dello «stato protettore» - lascia sgomenti.

La solidarietà sociale costituisce un tratto fondamentale dell'identità francese. Una solidarietà che il Cpe contribuisce a liquidare. Perciò, ancora una volta, la contestazione. E la rivolta.

(1) Nicolas Baverez, Michel Camdessus, Christophe Lambert, Jacques Marseille,Alain Mine... tutti vicini a Nicolas Sarkozy.

(2) Il 4 febbraio 2006 il presidente Jacques Chirac ha chiesto la riscrittura di questo testo che «divide i fiancesi ».

(3) L'Express, Parigi, 12 gennaio 2006.



Peppino Gavoni
00domenica 16 aprile 2006 21:24
grandi i francesi
sono gli unici che resistono veramente alla globalizzazione selvaggia. Dovrebbero essere presi ad esempio da tutti.
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