Un anno dopo: un primo bilancio.

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Slobodan
00mercoledì 19 aprile 2006 20:53
Sotto il sorriso di ferro, il passo del riformatore

di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI

Dopo il santo, il riformatore. Gli hanno dato da amministrare la Chiesa a 78 anni, mentre si manifestava vasto il timore del vuoto che lasciava Wojtyla. Lo votarono dalla sinistra e dalla destra di Dio. Ora tende la mano a sinistra e a destra, fino a Hans Küng, il grande teologo del dissenso cui non bastava il Concilio, e ai seguaci di Lefebvre, il vescovo conservatore e scismatico che contestò il Concilio per la liturgia e per la carica moderna. In mezzo, preso da crescente simpatia per il nuovo Papa, c'è un popolo di credenti che non è possibile, anche con il più banale dei riduzionismi, dividere in una destra e in una sinistra. Passati 12 mesi, l'amministrazione della fede mostra buona salute. Sono rimaste le folle. Lo stile sobrio del cardinale tedesco è diventato familiare e beneamato. Sotto una apparente lentezza di avvio, il governo ha registrato novità notevoli, pur non essendo stati cambiati per ora i collaboratori di vertice.
La ripresa è partita dalla dottrina prima che dalle poltrone: fedele al suo predecessore, Benedetto XVI non ha mutato linea. Ha accelerato i ritmi. Dopo la lunga malattia di Giovanni Paolo II, si è accentuata la consapevolezza di un assedio. Si vendono più bestseller sugli amori della Maddalena che copie della Bibbia, un vangelo apocrifo ingolosisce più del Cantico dei Cantici, l'Illuminismo da rotativa, versione elegante della New Age, si occupa volentieri delle notizie su dio, intorno a un dio qualsiasi, purché percepito con la d minuscola.
L'assillo che il cristianesimo soprattutto in Europa patisce per il progressivo scivolamento della società nel disagio esistenziale e nell’insignificanza dei messaggi mediatici è al centro della premura di questo pontificato. Ma la reazione è pacata, i toni sono sereni. L'enciclica «Deus caritas est » è una smentita alla rappresentazione malevolmente passatista, maschista e sessuofoba, che parte della cultura contemporanea propone della Chiesa di Roma. C'è nel documento pontificio l'idea di una religione lieta, sentita per l'aldiquà e per l'aldilà, vissuta con i sensi e con la ragione, con il corpo e con lo spirito.
L'ecumenismo riprende a lavorare anche con una rilettura fraterna della Riforma. Molto si sono detti per quattro ore Papa Benedetto e il teologo ribelle in un imprevedibile colloquio in Vaticano. Ratzinger e Küng erano quasi ragazzi quando vennero a Roma insieme accanto ai vescovi conciliari: oggi i due vegliardi restano consapevoli della continuità e della discontinuità del Concilio, ma le loro intelligenze colgono, nella differenza abissale delle responsabilità, l'esigenza di guardare in faccia alla situazione del pianeta, diviso fra il fondamentalismo islamico, l'indifferenza dei Paesi benestanti, la confusione delle sette, il disorientamento povero del terzo e quarto mondo e il nuovo vitalismo economico a Oriente. Poi c'è, allontanatasi negli ultimi anni di Wojtyla, la galassia dell'ortodossia, a Mosca più che altrove. Dall'analisi discende la strategia per creare una forte concordia con le altre confessioni cristiane e con i fratelli ebrei. In più trovare modi duraturi per convivere in pace e rispetto con i musulmani. Resta, nel rapporto con gli Stati e con le società civili, la percezione tutta nordica, e in senso lato riformata, della distinzione fra la sfera della politica e quella della religione, che non attutisce però il dissenso deciso con le politiche pubbliche che toccano il nocciolo moralmente irrinunciabile della difesa della vita. Il primato della vita sta diventando il motivo più frequente negli interventi papali, dal no assoluto alla guerra e alla violenza alla condanna dell'eutanasia. Per non dire della visione cristiana della famiglia.
La ricerca dell'applauso globale non è fra le premure di un leader che confida: «E' superfluo un cristianesimo che va d'accordo con tutti ed è compatibile con tutto». Lo dice sorridendo, ma la maniera gentile non inganni: è un sorriso di ferro.
Slobodan
00mercoledì 19 aprile 2006 23:03
come il cacio sui maccheroni!
A UN ANNO DALL'ELEZIONE, RATZINGER PUO' REALIZZARE RIFORME CHE PER UN PAPA PROGRESSISTA SAREBBERO MOLTO PIU' DIFFICILI
Benedetto XVI, le soprese di un conservatore
13/4/2006
di Hans Küng



Non ho mai nascosto il mio fortissimo disappunto per il Conclave che ha scelto come Papa il cardinale Joseph Ratzinger, capo della Congregazione per la Dottrina della fede, che una volta si chiamava Inquisizione. Cionondimeno, Benedetto XVI merita una chance. Quindi, nonostante il mio scetticismo ho sospeso il giudizio e ho chiesto un’udienza personale al nuovo Papa.

Per 27 lunghi anni avevo atteso invano una risposta alle mie lettere a Giovanni Paolo II, perciò si può intuire quanto fossi sorpreso e felice allorché, avendo scritto a Benedetto il 30 maggio 2005, ho ricevuto una sua amichevole risposta già il 15 giugno: il nuovo Papa era pronto a una «amichevole conversazione» con me.

La conversazione ebbe luogo il 24 settembre nella residenza estiva papale di Castel Gandolfo e durò quattro ore intere. Per molte persone in tutto il mondo fu un segno di speranza, perché noi due, pur avendo preso strade diverse e adottato punti di vista differenti, continuavamo ad avere qualcosa di decisivo in comune: entrambi cristiani, al servizio della stessa Chiesa, e nonostante le controversie ci rispettavamo l’un l’altro.

A nascondere le divergenze non abbiamo nemmeno provato. Volevo illustrargli le preoccupazioni di una grande e importante parte della Chiesa cattolica. Al messaggio che gli avevo spedito avevo allegato la mia «Lettera aperta ai cardinali» pubblicata poco prima del Conclave e intesa a rendere note le mie opinioni sul corso futuro della Chiesa e a stilare un programma complessivo di riforme. Tuttavia non mi sembrava che avesse senso dedicare la nostra conversazione personale ai dettagli di tali riforme, visto che su di esse io e papa Benedetto abbiamo idee completamente differenti.

Parlando in generale, i miei auspici non andavano a un altro Papa da mass media ma a un Papa pastore orientato all’ecumenismo. E qui vedo segni di speranza. Il nuovo Papa è uno studioso posato e riflessivo, non è costantemente impegnato in grandi apparizioni pubbliche, inoltre ha ridotto sia il numero dei viaggi all’estero sia quello delle udienze a Roma.

È il supremo pastore che procede per passi più lenti e più brevi, si prende il suo tempo e preferisce promuovere piccoli cambiamenti che ne provocano altri più grandi. Brevi occasioni di libera discussione nell’ultimo Sinodo dei vescovi e il suo invito ai cardinali a esprimere le loro opinioni liberamente hanno offerto come minimo un avvio di collegialità. In breve, Benedetto è un conservatore con qualche apertura. Comunque non è il tipo del conservatore rigido e può riservare al mondo qualche sorpresa, come ha fatto quando mi ha rapidamente concesso un colloquio.

So che molti osservatori sono scettici su questo pontificato e si chiedono: «Può un leopardo cambiare le sue macchie?». Io resto un realista, ma non voglio rinunciare alla speranza. Le cose vanno di rado come uno spera, ma è altrettanto raro che vadano così male come uno teme. E allora, dove sta portando la Chiesa Benedetto XVI? La domanda è di portata politica mondiale, non solo per i cattolici e per gli altri cristiani ma anche per chi si riconosce in altre fedi e per gli uomini e le donne secolari attivi in politica, nell’economia e nel mondo accademico.

Dopotutto, col suo miliardo e passa di fedeli attivi o nominali, la Chiesa cattolica è il più grande corpo religioso multinazionale del mondo, dotato di un’organizzazione interna abbastanza stretta da farne un efficiente protagonista globale, a dispetto di tante sue debolezze. Capi di Stato e di governo di tutto il mondo sono convenuti a San Pietro per i funerali di Giovanni Paolo, e non lo hanno fatto solo per ragioni di devozione.

Quasi indipendentemente dalla sua persona, il Papa è una potenza spirituale e per moltissimi giovani e vecchi è una credibile figura morale in cui identificarsi. Pertanto la direzione che prenderà la Chiesa cattolica è di importanza globale, e sono globali le questioni che io e Benedetto abbiamo discusso a Castel Gandolfo. In particolare riguardo a tre aree problematiche per le quali io spero in qualche progresso dal nuovo papato.

Innanzitutto c’è la relazione fra la fede cristiana e la scienza (e le discipline secolari in genere). La razionalità della fede è sempre stata importante per il Ratzinger teologo, e nel comunicato congiunto seguente al nostro incontro il Papa ha «condiviso la preoccupazione del professor Küng sulla necessità di riavviare il dialogo tra fede e scienza».

Però io non conosco la portata di tale condivisione. È limitata a questioni fisiche, biologiche e teologiche sull’origine del cosmo, della vita e dell’umanità, o può essere estesa a una discussione razionale su temi di biologia e di medicina, quali la ricerca sugli embrioni, il controllo delle nascite e l’inseminazione artificiale?

Poi abbiamo discusso del dialogo fra le religioni. Benedetto si è espresso in varie occasioni contro l’idea dello «scontro di civiltà». Inoltre è convinto che non ci sarà pace fra le nazioni senza pace fra le religioni, e nessuna pace fra queste senza dialogo fra loro. Perciò nel comunicato stampa ho potuto esprimere la mia «approvazione per l’interesse del Papa nei confronti del dialogo fra le religioni e i vari gruppi sociali del mondo moderno».

Anche su questo, tuttavia, mi è rimasta una domanda: dati i difetti della cristianità e i tratti positivi delle altre fedi, questo Papa sarà capace di rendere compatibile la convinzione della verità della sua propria fede con il rispetto della verità delle altre fedi?

Terzo e ultimo punto, abbiamo parlato dell’importanza di un’etica umana condivisa. Benedetto comprende che «il progetto etico globale non è una costruzione intellettuale», semmai si tratta di mettere in luce «i valori morali sui quali le grandi religioni del mondo convergono, a dispetto di tutte le loro differenze. Con questa loro ricchezza di significato, tali religioni possono mostrarsi capaci di fornire criteri validi anche per la ragione secolare».

Ma anche qui si pone una domanda: al prossimo meeting interreligioso, di Assisi o altrove, ci saranno solo preghiere o sarà possibile definire gli standard etici condivisi dalle religioni? Naturalmente non nutrivo alcuna illusione di intesa fra Benedetto e me. Di comune accordo ci siamo concentrati su questioni di politica «estera» della Chiesa, toccando solo di passaggio quelle di politica «interna». Ma la Chiesa cattolica si trova in una crisi così seria, radicata in questioni «interne», che nessun Papa può pensare ragionevolmente di mettere tali questioni da parte indefinitamente.

Benedetto deve scegliere fra un’ulteriore ritirata nel mondo premoderno e pre-Riforma del Medioevo, oppure può optare per una strategia lungimirante che porti la Chiesa nell’universo postmoderno in cui il resto del mondo è entrato già da tempo.

Il Papa può decidere di ritirarsi - ma non credo che lo farà. Oppure può decidere si stare fermo dov’è - ma limitarsi a celebrare il papato, anziché aiutare la Chiesa nelle sue necessità, equivarrebbe a fare passi indietro. O infine può decidere di andare avanti, e questo è quel che io e innumerevoli altre persone dentro e fuori la Chiesa cattolica ci auguriamo che faccia. Il Papa si rende conto che la situazione della Chiesa è seria. Giovanni Paolo II non è riuscito a convertire molte persone ai suoi punti di vista rigorosi, soprattutto in materia di morale sessuale, nonostante tutti i suoi discorsi e i suoi viaggi. Tali sue visioni sono rigettate dalla schiacciante maggioranza dei cattolici e dei parlamenti nazionali, persino nella natìa Polonia. Tutte le sue encicliche e il suo catechismo, i suoi decreti e le sue sanzioni disciplinari, tutte le pressioni vaticane, palesi o occulte, sui suoi oppositori non hanno sortito praticamente nulla. Forse Benedetto percepisce che la campagna di ri-evangelizzazione dell’Europa ha suscitato paure di imperialismo spirituale romano e hanno contribuito al rigetto della menzione di Dio e della cristianità nel preambolo della Costituzione europea. Le messe oceaniche del precedente Papa, per quanto bene organizzate ed efficaci sui media, non sono riuscite a nascondere il fatto che le cose non vanno bene per la Chiesa. C’è un profondo divario fra quello che la gerarchia comanda e quello in cui i membri della Chiesa credono davvero, un divario che si riflette sulla maniera in cui essi vivono. La frequentazione delle chiese è in declino, al pari dei matrimoni religiosi. La pratica della confessione è scomparsa nella maggior parte dei Paesi occidentali. I ranghi del sacerdozio si assottigliano e mancano i rimpiazzi, in parte anche perché la credibilità dei preti è stata scossa dagli scandali di pedofilia che dagli Stati Uniti e dall’Irlanda si sono estesi fino all’Austria e alla Polonia.

Fino a quando perseguirà il primato assoluto di Roma, il Papa avrà la maggioranza della cristianità contro di sé. Solo se abbraccerà il modello di Giovanni XXIII e cercherà di praticare un primato pastorale di servizio, rinnovato alla luce del Vangelo e dell’impegno per la libertà, potrà essere garanzia di apertura nella Chiesa e fare da bussola morale per il mondo.

Se Benedetto XVI saprà guidare la Chiesa fuori da questa crisi di fiducia e di speranza, porterà quella che Karl Rahner ha definito la «Chiesa dell’inverno» a una nuova primavera. Egli conosce la Curia e l’episcopato meglio di chiunque altro, e a differenza del suo predecessore è anche un buon amministratore e un valente studioso. Uno dei suoi rivali al Conclave mi ha detto che, se volesse, Benedetto potrebbe realizzare le riforme che un Papa più progressista avrebbe più difficoltà a fare.

Tante persone dentro e fuori della Chiesa cattolica aspettano che si rompa lo stallo delle riforme durato per un quarto di secolo. Desiderano che i problemi strutturali di lungo termine della Chiesa vengano discussi apertamente, e vogliono che vengano trovate delle soluzioni, sia che ciò venga fatto dal nuovo Papa personalmente o dal Sinodo dei vescovi o da un Terzo Concilio Vaticano.

© 2006 Hans Küng
The New York Times Syndicate
Slobodan
00mercoledì 19 aprile 2006 23:28
in piena overdose pontificia...
Il papa della ragione

La carità è compimento, ma la fede di Ratzinger si dice anche attraverso la ragione. Lo afferma un suo avversario, che un anno dopo dipinge l’eletto sulla scorta delle sue letture teologiche ateo-devote



Il papato di Ratzinger compie un anno domani, lo storico Alberto Melloni inquadra questo inizio con la sua “mente raffinatissima”, come dicono i mattinali siciliani quando si tratti di grandi mafiosi capaci di tutto. Ne esce fuori un libretto einaudiano di centocinquanta pagine, eccezionalmente ben scritto, ben pensato sul terreno fertile di una grande erudizione, a partire dalla scienza ermeneutica del Conclave antico e moderno che l’Autore possiede alla perfezione. Chi sa cosa sia stata la cremlinologia più rarefatta e segreta può vantarsi di arrivare parzialmente e modestamente a capire, per quanto microdilettante in letture storiche, che cosa sia la conclavologia.
Melloni è della scuola di Bologna, conciliare e postconciliare, e a questa scuola monsignor Agostino Marchetto ha dedicato anni di perfidia controversista, suscitando risposte spesso adirate e qualche volta faziose (anche nel libro di cui stiamo parlando). Per Melloni e per il suo caposcuola, Giuseppe Alberigo, il Concilio fu, con le parole di Giovanni XXIII, anche lui “santo subito”, una nuova Pentecoste, una discesa sconvolgente e novista dello Spirito Santo. Per Marchetto la confessione di fede cattolica non si aggiorna, al massimo si rigenera nell’intercettazione cauta dei segni dei tempi, e poi si difende, come vera lettera del Concilio, con lo spirito canonistico degli “originalisti” americani di fronte alla Costituzione, prima di tutto nei suoi documenti che smentiscono ardite interpretazioni, perché sono appunto documenti e non aliti di vita o organismi pluricellulari. Insomma, si è capito. Il libro è di un progressista giovanneo ma non paolino, inviso (con il solito garbo e talento ecclesiastico) ai sostenitori del papato di Giovanni Paolo II, compreso il nucleo forte del fondamentalismo razionalista ratzingeriano, quando il Papa era solo il Prefetto e il professore di dogmatica e non aveva ancora cambiato veste, come doverosamente accadrà dopo quel primo pomeriggio del 19 aprile del 2005, la fumata bianca, il suono delle campane e tutto il resto.
La tesi dello storico è quella del “papato chimico”, e la parola alchemica è: decantazione. Nel suo libretto precedente, sulla chiesa madre e matrigna, parlava di un incantamento pericoloso e papolatrico intorno alla figura di Wojtyla, che Melloni circonda sempre di rispetto personale e anche di devozione ma critica con fervore in molte delle sue scelte decisive lungo tutto il ministero pontificio. Incantamento, decantazione. Attivismo, pigrizia scettica. Oratoria urbi et orbi, oratoria volutamente modesta. Una sorpresa via l’altra, attesa fino ad ora delusa di una Grande Sorpresa Papale. Questi i cambiamenti nell’analisi del principio di un inizio, sottolineando il difforme e il nuovo di Benedetto XVI rispetto all’augusto predecessore.
Questo libretto milita, parteggia nell’atto stesso di informare con onestà intellettuale, senza illusioni. Melloni è sempre severissimo con le adulazioni e le denigrazioni della figura papale, ma sa compiacere a suo modo ed è esperto nell’arte del pregiudizio stroncatorio. Ove ce ne siano al mondo, non è autore innocente, e d’altra parte non protesta innocenza alcuna. La sua bestia nera, per esempio, è il sistema dei media, che ha trasformato il lutto di massa dei novendiali, dopo la morte di Giovanni Paolo II, nella premessa occulta per l’elezione di Ratzinger, eroe chiaroscuro di una scelta continuista che potrebbe però deludere, per la diversità di stile e di carattere rispetto al predecessore, i cortigiani e i curiali del partito reazionario annidato nella chiesa. Non ha paura di contraddirsi, lo storico partigiano. Se i media amplificano la papolatria gianpaolina, anathema sit. Ma se il decano del Sacro Collegio, alla vigilia della propria elezione al Soglio, intima il silenzio stampa per proteggere la libera discussione nelle congregazioni cardinalizie precedenti il Conclave, allora Melloni intona il suo evviva per i cardinali progressisti che violano inutilmente il monito del Prefetto già-quasi-papa. Unicuique sua media.
Melloni non è un banale giallista conclavario, suggerisce ipotesi storiche per risolvere il rebus tipico di ogni elezione con il limite (che riconosce) dell’anticipazione dei tempi della storiografia, ma non osa concludere là dove comincia il regno dell’inconcluso, la storia di una tradizione esoterica che riflette un beato spirito e una ricca materia inscindibilmente legati e incarnati nel Collegio che decide. Fondamentale è la sua esegesi della predica tenuta in sede vacante del predicatore apostolico francescano, padre Raniero Cantalamessa, intesa come il discorso o la piattaforma del grande compromesso pro eligendo pontifice. Un compromesso rafforzato o illuminato, come aveva ben colto “un giornale italiano” (1), dalla splendida omelia de eligendo pontifice, quella contro la dittatura del relativismo, preceduta dalle meditazioni penitenziali apocalittiche prima della morte del Papa e dal discorso di Subiaco del 1 aprile, una difesa smagliante dell’apporto razionale che occidente ed Europa conferiscono alla fede e alla sua pratica cristiana.
Non spara soluzioni, l’Autore, ma analizza criticamente bisbigli (il papa di Carlo Maria Martini, S. J., per evitare soluzioni mediocri, oppure il papa dei reazionari latinoamericani aiutati dal partito italiano che vuole preservare per sé l’eccezionalismo romanocentrico con l’ascesa di un tedesco, o altro ancora). L’importanza notevole del pamphlet non sta dunque nello svelare i segreti dell’elezione del romano pontefice, formula giornalese. E nemmeno nella sua linea politica, nel suo anelito a dare una mano a Zapatero, che nelle incredibili parole di Melloni non è così male come lo si descrive; o a introdurre la democrazia collegiale semi-ciudadana nella chiesa cattolica, da secoli papista per successione apostolica petrina, per scelta istituzionale e perché papismo è il nome con cui Santa Romana Chiesa viene battezzata o anatemizzata da tutti gli altri cristiani variamente scismatici o riformati.
Neanche è decisiva, perché scontata, l’ossessiva polemica mellonita contro il riduzionismo etico della fede, contro la morale sessuale razionale ribadita dal successore di Pietro ma disattesa dai fedeli. Quella morale che è diventata altra cosa, e poderosa, nel magistero privato e pubblico di Giovanni Paolo II e di Ratzinger, perché è diventata bioetica universale e insieme la denuncia fattuale e teologica di un anti-Genesi o una anti-grammatica della vita: questo dato ingombrante Melloni non lo vuole cogliere, nemmeno quando monsignor Angelo Comastri glielo spiega nelle eccellenti meditazioni penitenziali della recente Pasqua di Resurrezione, sulla via Crucis, e preferisce invece rifugiarsi in una ermeneutica della reticenza e dell’omissione con cui legge la Deus caritas est, enciclica da lui benedetta perché non parla di embrioni. Troppo e troppo poco, professore.

Il profilo dell’eletto: un capolavoro
Il capolavoro interno a questa opera breve di altissima e indispensabile divulgazione è nel capitolo che si intitola al profilo dell’eletto, cioè la risposta alla domanda: chi è Ratzinger? Qui Melloni non bara, e soffre. Ratzinger è proprio Ratzinger. Un agostiniano che attraverso San Tommaso e Bonaventura s’installa solidamente nel meglio del razionalismo, per lui Dio è anche un itinerario della mente nel divino, è anche un adeguamento dell’intelletto alla cosa. Nonostante l’avverso parere del professor Tullio Gregory, e dei suoi “esperti di lessicografia medievale” (paragone un tantino incongruo per l’autore magnifico dell’Introduzione al cristianesimo), Melloni annota: “Ratzinger pensa che l’incontro tra fede biblica e cultura greca abbia costituito una sorta di reciproca immanenza fra l’una e l’altra: non c’è più vera razionalità (nel senso individuato dalla filosofia greca) se non alla luce della fede e una fede che non sappia dar conto di sé in quella forma di pensiero si espone a rischi di perversione inevitabili”. E questa arcata teologico-filosofica che va da Atene a Gerusalemme e ritorno, lungo la costruzione del cristianesimo europeo e occidentale, è “una visione che ‘agisce’ su tutte le cornici del pensiero ratzingeriano”. Atene e Gerusalemme, Maimonide e Leo Strauss, due grandi atei devoti del pensiero biblico a cavallo tra medioevo e una modernità che sa di essere diventata un problema.
E’ perché Ratzinger è e resta il Papa della ragione, con tutta la carica di carità pastorale e di sacro rispetto del mistero, che può dialogare con chiunque dei moderni, chiedendo perentoriamente con ardimento illuministico di fare “come se Dio esistesse” e di stringere con una chiesa estranea al cuore dei non credenti, ma non alla loro mente, un’alleanza etica feconda. La fede non è un atto di semplice accoglimento del “totalmente altro”, è anche quello (come in Paolo e in Karl Barth), ma la sua dimensione esistenziale ha dei limiti. La fede è anche la possibilità della fede riconosciuta nel mondo, come scrive Melloni attribuendo il concetto (concetto, non soffio spirituale, al Papa eletto il 19 aprile dell’anno scorso): “Nonostante gli sforzi di tanto magistero (da Pacem in terris in poi), Ratzinger non considera l’umano affanno per una vita più umana portatore di un bene a cui la chiesa dà nome o dal quale apprende: al contrario egli pensa che solo nell’assunzione della possibilità dell’atto di fede la norma sociale potrà rimanere al di qua del perimetro di una autodistruzione”.
Il Ratzinger di Melloni è dunque il nostro Ratzinger, il teologo che ci ha affascinato per la sua critica del moderno e del secolarismo nichilista, per la sua razionalità oggettivistica, non strumentale, per la sua critica del micropotere morale sproporzionato rispetto al macropotere tecno-scientifico, per la sua opposizione a ogni vento di dottrina relativista. E sono conferme che consolano, quando vengano da una persona seria, che conosce le cose e sa che certe cose non si “decantano” tanto facilmente.

(1) Il 19 aprile “un giornale italiano”, questo che leggete, uscì con la testata speciale “Il Soglio” e con un grande titolo rosso: “La formidabile lezione del professor Ratzinger”. Il giorno dopo, a elezione al Soglio avvenuta, bastò una “e” e il titolo fu: “La formidabile elezione del professor Ratzinger”. Divulgazione anche quella.

Giuliano Ferrara(18/04/2006)


Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 17:44.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com