in piena overdose pontificia...
Il papa della ragione
La carità è compimento, ma la fede di Ratzinger si dice anche attraverso la ragione. Lo afferma un suo avversario, che un anno dopo dipinge l’eletto sulla scorta delle sue letture teologiche ateo-devote
Il papato di Ratzinger compie un anno domani, lo storico Alberto Melloni inquadra questo inizio con la sua “mente raffinatissima”, come dicono i mattinali siciliani quando si tratti di grandi mafiosi capaci di tutto. Ne esce fuori un libretto einaudiano di centocinquanta pagine, eccezionalmente ben scritto, ben pensato sul terreno fertile di una grande erudizione, a partire dalla scienza ermeneutica del Conclave antico e moderno che l’Autore possiede alla perfezione. Chi sa cosa sia stata la cremlinologia più rarefatta e segreta può vantarsi di arrivare parzialmente e modestamente a capire, per quanto microdilettante in letture storiche, che cosa sia la conclavologia.
Melloni è della scuola di Bologna, conciliare e postconciliare, e a questa scuola monsignor Agostino Marchetto ha dedicato anni di perfidia controversista, suscitando risposte spesso adirate e qualche volta faziose (anche nel libro di cui stiamo parlando). Per Melloni e per il suo caposcuola, Giuseppe Alberigo, il Concilio fu, con le parole di Giovanni XXIII, anche lui “santo subito”, una nuova Pentecoste, una discesa sconvolgente e novista dello Spirito Santo. Per Marchetto la confessione di fede cattolica non si aggiorna, al massimo si rigenera nell’intercettazione cauta dei segni dei tempi, e poi si difende, come vera lettera del Concilio, con lo spirito canonistico degli “originalisti” americani di fronte alla Costituzione, prima di tutto nei suoi documenti che smentiscono ardite interpretazioni, perché sono appunto documenti e non aliti di vita o organismi pluricellulari. Insomma, si è capito. Il libro è di un progressista giovanneo ma non paolino, inviso (con il solito garbo e talento ecclesiastico) ai sostenitori del papato di Giovanni Paolo II, compreso il nucleo forte del fondamentalismo razionalista ratzingeriano, quando il Papa era solo il Prefetto e il professore di dogmatica e non aveva ancora cambiato veste, come doverosamente accadrà dopo quel primo pomeriggio del 19 aprile del 2005, la fumata bianca, il suono delle campane e tutto il resto.
La tesi dello storico è quella del “papato chimico”, e la parola alchemica è: decantazione. Nel suo libretto precedente, sulla chiesa madre e matrigna, parlava di un incantamento pericoloso e papolatrico intorno alla figura di Wojtyla, che Melloni circonda sempre di rispetto personale e anche di devozione ma critica con fervore in molte delle sue scelte decisive lungo tutto il ministero pontificio. Incantamento, decantazione. Attivismo, pigrizia scettica. Oratoria urbi et orbi, oratoria volutamente modesta. Una sorpresa via l’altra, attesa fino ad ora delusa di una Grande Sorpresa Papale. Questi i cambiamenti nell’analisi del principio di un inizio, sottolineando il difforme e il nuovo di Benedetto XVI rispetto all’augusto predecessore.
Questo libretto milita, parteggia nell’atto stesso di informare con onestà intellettuale, senza illusioni. Melloni è sempre severissimo con le adulazioni e le denigrazioni della figura papale, ma sa compiacere a suo modo ed è esperto nell’arte del pregiudizio stroncatorio. Ove ce ne siano al mondo, non è autore innocente, e d’altra parte non protesta innocenza alcuna. La sua bestia nera, per esempio, è il sistema dei media, che ha trasformato il lutto di massa dei novendiali, dopo la morte di Giovanni Paolo II, nella premessa occulta per l’elezione di Ratzinger, eroe chiaroscuro di una scelta continuista che potrebbe però deludere, per la diversità di stile e di carattere rispetto al predecessore, i cortigiani e i curiali del partito reazionario annidato nella chiesa. Non ha paura di contraddirsi, lo storico partigiano. Se i media amplificano la papolatria gianpaolina, anathema sit. Ma se il decano del Sacro Collegio, alla vigilia della propria elezione al Soglio, intima il silenzio stampa per proteggere la libera discussione nelle congregazioni cardinalizie precedenti il Conclave, allora Melloni intona il suo evviva per i cardinali progressisti che violano inutilmente il monito del Prefetto già-quasi-papa. Unicuique sua media.
Melloni non è un banale giallista conclavario, suggerisce ipotesi storiche per risolvere il rebus tipico di ogni elezione con il limite (che riconosce) dell’anticipazione dei tempi della storiografia, ma non osa concludere là dove comincia il regno dell’inconcluso, la storia di una tradizione esoterica che riflette un beato spirito e una ricca materia inscindibilmente legati e incarnati nel Collegio che decide. Fondamentale è la sua esegesi della predica tenuta in sede vacante del predicatore apostolico francescano, padre Raniero Cantalamessa, intesa come il discorso o la piattaforma del grande compromesso pro eligendo pontifice. Un compromesso rafforzato o illuminato, come aveva ben colto “un giornale italiano” (1), dalla splendida omelia de eligendo pontifice, quella contro la dittatura del relativismo, preceduta dalle meditazioni penitenziali apocalittiche prima della morte del Papa e dal discorso di Subiaco del 1 aprile, una difesa smagliante dell’apporto razionale che occidente ed Europa conferiscono alla fede e alla sua pratica cristiana.
Non spara soluzioni, l’Autore, ma analizza criticamente bisbigli (il papa di Carlo Maria Martini, S. J., per evitare soluzioni mediocri, oppure il papa dei reazionari latinoamericani aiutati dal partito italiano che vuole preservare per sé l’eccezionalismo romanocentrico con l’ascesa di un tedesco, o altro ancora). L’importanza notevole del pamphlet non sta dunque nello svelare i segreti dell’elezione del romano pontefice, formula giornalese. E nemmeno nella sua linea politica, nel suo anelito a dare una mano a Zapatero, che nelle incredibili parole di Melloni non è così male come lo si descrive; o a introdurre la democrazia collegiale semi-ciudadana nella chiesa cattolica, da secoli papista per successione apostolica petrina, per scelta istituzionale e perché papismo è il nome con cui Santa Romana Chiesa viene battezzata o anatemizzata da tutti gli altri cristiani variamente scismatici o riformati.
Neanche è decisiva, perché scontata, l’ossessiva polemica mellonita contro il riduzionismo etico della fede, contro la morale sessuale razionale ribadita dal successore di Pietro ma disattesa dai fedeli. Quella morale che è diventata altra cosa, e poderosa, nel magistero privato e pubblico di Giovanni Paolo II e di Ratzinger, perché è diventata bioetica universale e insieme la denuncia fattuale e teologica di un anti-Genesi o una anti-grammatica della vita: questo dato ingombrante Melloni non lo vuole cogliere, nemmeno quando monsignor Angelo Comastri glielo spiega nelle eccellenti meditazioni penitenziali della recente Pasqua di Resurrezione, sulla via Crucis, e preferisce invece rifugiarsi in una ermeneutica della reticenza e dell’omissione con cui legge la Deus caritas est, enciclica da lui benedetta perché non parla di embrioni. Troppo e troppo poco, professore.
Il profilo dell’eletto: un capolavoro
Il capolavoro interno a questa opera breve di altissima e indispensabile divulgazione è nel capitolo che si intitola al profilo dell’eletto, cioè la risposta alla domanda: chi è Ratzinger? Qui Melloni non bara, e soffre. Ratzinger è proprio Ratzinger. Un agostiniano che attraverso San Tommaso e Bonaventura s’installa solidamente nel meglio del razionalismo, per lui Dio è anche un itinerario della mente nel divino, è anche un adeguamento dell’intelletto alla cosa. Nonostante l’avverso parere del professor Tullio Gregory, e dei suoi “esperti di lessicografia medievale” (paragone un tantino incongruo per l’autore magnifico dell’Introduzione al cristianesimo), Melloni annota: “Ratzinger pensa che l’incontro tra fede biblica e cultura greca abbia costituito una sorta di reciproca immanenza fra l’una e l’altra: non c’è più vera razionalità (nel senso individuato dalla filosofia greca) se non alla luce della fede e una fede che non sappia dar conto di sé in quella forma di pensiero si espone a rischi di perversione inevitabili”. E questa arcata teologico-filosofica che va da Atene a Gerusalemme e ritorno, lungo la costruzione del cristianesimo europeo e occidentale, è “una visione che ‘agisce’ su tutte le cornici del pensiero ratzingeriano”. Atene e Gerusalemme, Maimonide e Leo Strauss, due grandi atei devoti del pensiero biblico a cavallo tra medioevo e una modernità che sa di essere diventata un problema.
E’ perché Ratzinger è e resta il Papa della ragione, con tutta la carica di carità pastorale e di sacro rispetto del mistero, che può dialogare con chiunque dei moderni, chiedendo perentoriamente con ardimento illuministico di fare “come se Dio esistesse” e di stringere con una chiesa estranea al cuore dei non credenti, ma non alla loro mente, un’alleanza etica feconda. La fede non è un atto di semplice accoglimento del “totalmente altro”, è anche quello (come in Paolo e in Karl Barth), ma la sua dimensione esistenziale ha dei limiti. La fede è anche la possibilità della fede riconosciuta nel mondo, come scrive Melloni attribuendo il concetto (concetto, non soffio spirituale, al Papa eletto il 19 aprile dell’anno scorso): “Nonostante gli sforzi di tanto magistero (da Pacem in terris in poi), Ratzinger non considera l’umano affanno per una vita più umana portatore di un bene a cui la chiesa dà nome o dal quale apprende: al contrario egli pensa che solo nell’assunzione della possibilità dell’atto di fede la norma sociale potrà rimanere al di qua del perimetro di una autodistruzione”.
Il Ratzinger di Melloni è dunque il nostro Ratzinger, il teologo che ci ha affascinato per la sua critica del moderno e del secolarismo nichilista, per la sua razionalità oggettivistica, non strumentale, per la sua critica del micropotere morale sproporzionato rispetto al macropotere tecno-scientifico, per la sua opposizione a ogni vento di dottrina relativista. E sono conferme che consolano, quando vengano da una persona seria, che conosce le cose e sa che certe cose non si “decantano” tanto facilmente.
(1) Il 19 aprile “un giornale italiano”, questo che leggete, uscì con la testata speciale “Il Soglio” e con un grande titolo rosso: “La formidabile lezione del professor Ratzinger”. Il giorno dopo, a elezione al Soglio avvenuta, bastò una “e” e il titolo fu: “La formidabile elezione del professor Ratzinger”. Divulgazione anche quella.
Giuliano Ferrara(18/04/2006)