IL “MODERATISMO”: OVVERO IL DEMOCRISTIANO A TAVOLA, E IL PECCATO DI GOLA
L'apice della rivoluzione nella Chiesa, camuffata di abiti monacali: l'ideologo don Giuseppe Dossetti
Questo slittamento verso il secolarismo del 1789 è, per di più, peggiorato con il proliferare di nuove sinistre: se la linea degasperiana cedeva verso il liberalismo del 1789, ben presto, in seno alla DC si presentarono credenti disposti a cedere anche al socialcomunismo, la nuova sinistra nata nell’Ottocento e sviluppatasi nel Novecento. È il caso della linea di don Giuseppe Dossetti che, lungi dall’applicare la dottrina sociale della Chiesa, ha perennemente ricercato un punto di incontro con il comunismo, nonostante le ripetute condanne del comunismo ad opera del Magistero cattolico. La riprova di tutto quanto è stato detto è nelle parole pubbliche del segretario democristiano Flaminio Piccoli del 1982: «quel grande processo di trasformazione che in molte nazioni d’Europa è stato realizzato sotto la prevalente egemonia socialdemocratica o laburista, è stato ottenuto in Italia sotto la prevalente guida di un partito democratico cristiano. […] il processo di modernizzazione altrove collaudato dallo spirito capitalistico originario dell’etica protestante, o da quello illuministico della Rivoluzione francese, o da quello socialista-marxista-leninista, della Rivoluzione d’ottobre, in Italia questo cambiamento affonda nella tradizione cristiana propria dei cattolici democratici». Alla fine, di fronte ai problemi sociali, la fede per i democristiani è sempre stata relegata nel privato – in modo conforme all’ottica moderna (in senso ideologico) che vorrebbe la fede irrilevante in ambito socio-politico –, come dimostrano le parole al solito fumose di Aldo Moro del 20 luglio 1975: «La ritrovata natura popolare del partito induce a chiudere nel riserbo della coscienza alcune valutazioni rigorose, alcune posizioni di principio […] che fanno ostacolo ora alla facilità di contatto con le masse ed alla cooperazione politica. Vi sono cose che la moderna coscienza attribuisce alla sfera privata e rifiuta siano regolate dalla legislazione ed oggetto dell’intervento dello Stato. Prevarranno dunque la duttilità e la tolleranza». Tale impostazione si basa sul “moderatismo”, la pretesa di esser “moderati”. Come già accennato all’inizio, questa prospettiva è incompatibile con il cattolicesimo – che richiede l’accettazione del bene (e il rifiuto del male) senza se e senza ma –, ma c’è di più: essa è anche priva di senso logico. Il moderatismo è la pretesa di accettare con moderazione i principi che si dovrebbero avere: esso è lo spostamento della moderazione dal piano dei comportamenti a quello dei concetti. Ma la moderazione è una virtù che si applica non ai principi, bensì alle azioni, ai comportamenti: essa è la capacità di relazionarsi con le cose senza legare il cuore ad esse: l’uomo che applica la virtù della moderazione verso il cibo – moderandosi nel mangiare – è un uomo virtuoso perché sa rapportarsi bene col cibo, non ne è legato. Ma costui non è moderato nell’accettare il principio: anzi, nel moderarsi a tavola, l’uomo virtuoso applica in modo pieno il principio, combattendo in modo pieno il peccato di gola. Un democristiano a tavola dovrebbe invece lasciarsi andare all’ingordigia, ma con “moderazione”, in quanto, coerentemente col suo moderatismo dei principi, dovrebbe rifiutare solo moderatamente il peccato di gola. In questo non c’è alcuna virtù, bensì vizio celato dalla “politica” dei piccoli passi. Un peccato, ma a metà o a tre quarti.
IL DEMOCRISTIANO: AGENTE SECOLARIZZANTE. E LA RANA BOLLITA
Il democristianismo è quindi basato anche su un equivoco, e, nonostante si presenti come difensore del cattolicesimo nella società e nella politica, si riduce, alla fine, in un agente secolarizzante. Esso non è diverso da quelli che presenta come propri avversari: l’unica differenza è nella diversa velocità con cui secolarizza la società: se i suoi avversari progressisti la secolarizzano con più velocità perché accettano in modo pieno i propri principi secolaristi, esso invece secolarizza con una velocità meno elevata, ma, proprio perché poco elevata, in modo più profondo, in quanto lo slittamento progressivo, quasi indolore, è quello più efficace – seguendo la legge del piano inclinato denunciata dal beato Giovanni Paolo II (Discorso ai giovani per il Giubileo della Redenzione del 14-04-1984, n. 3); si rimanda qui pure alla metafora della rana bollita di Olivier Clerc (La grenouille qui ne savait pas qu’elle était cuite… Et autres leçons de vie): se si mettesse una rana in un pentolone pieno d’acqua fredda e si accendesse il fuoco sotto la pentola, l’acqua si riscalderebbe poco a poco. Appena l’acqua divenisse tiepida, la rana troverebbe il calore gradevole, continuando a nuotare. Ma progressivamente il calore sale e l’acqua diventa più calda, più di quanto la rana gradisca, ma essa, nonostante la spossatezza, non si preoccupa o spaventa perché non sente un pericolo immediato. Ma, dopo un poco, l’acqua si fa caldissima, e però la rana, pur soffrendo il caldo terribile, è ormai indebolita, assuefatta, e quindi non reagisce, fin quando non resterà semplicemente morta, cotta nel calderone. Ebbene, se la stessa rana fosse stata direttamente immersa nell’acqua a 50° centigradi, immediatamente avrebbe percepito il pericolo e avrebbe dato il necessario ed efficace colpo di zampa che l’avrebbe fatta fuggire dalla pentola, salvandosi la vita. Ciò significa che, quando un cambiamento si effettua gradualmente, sfugge alla consapevolezza di chi vi è sottoposto e non suscita in questa persona, per la maggior parte del tempo, nessuna reazione, anche se il cambiamento dovesse essere pericoloso per lei. I democristiani dunque, come tutti i “moderati”, «Sono moderati, non già in ragione di principi che loro appartengano, ma facendo un passo di meno nella stessa direzione dei loro avversari, essendo un poco più timidi nelle stesse assurdità, abbandonandosi agli stessi eccessi con un resto di pudore, versando una goccia d’acqua in un vino che non è il loro» (Abel Bonnard, I moderati. Il dramma del presente). Che la Democrazia Cristiana sia stata un fattore di secolarizzazione e un tradimento lento e progressivo del cattolicesimo non solo è dimostrato dalle candide parole di Flaminio Piccoli, ma anche dai fatti storici che ricordano come sia stata la Democrazia Cristiana a firmare una serie di piccoli e grandi tradimenti della dottrina cattolica – da certe formule ambigue o disastrose della Costituzione italiana, alle leggi sull’aborto e sul divorzio.
“SI CAPISCE PERCHÈ I DEMOCRISTIANI NON PARLINO MAI DI RELIGIONE E MORALE. MA DI SOCIOLOGIA E PSICOLOGIA…”
Persino un esponente del progressismo cattolico come Pietro Scoppola ha preso atto, nel suo La «nuova cristianità» perduta, che le aperture del centro alle sinistre sia stato secolarizzante: «In definitiva, il centro-sinistra non solo non pone le premesse per frenarle, ma anzi accentua le spinte verso il processo di secolarizzazione della società». L’idea stessa di un centro che possa potenzialmente allearsi (e che quindi di fatto si allei) con la sinistra, come mostra la storia, ha prodotto solo secolarismo. Alla fine, l’unico giudizio pienamente cattolico sulla DC è quello del già citato Del Noce – che pure era suo teorico e suo parlamentare indipendente – nel suo carteggio con la filosofa Maria Adelaide Raschini (in Filosofia oggi n. 132/2010): «Abbiamo pensato che il partito democristiano intendesse infondere alla democrazia uno spirito cristiano, e che soltanto fosse incoerente, o che non disponesse di uomini a ciò adatti. Invece, dobbiamo riconoscere che è perfettamente coerente, rispetto a un reale programma che deve però essere formulato in altro senso; partito democristiano è il partito che vuole convertire i cristiani alla democrazia come morale. Quanto a dire alla morale che era già stata perfettamente definita dai sofisti: quel che piace ai più, quello è vero e giusto, è bello, è buono; e siccome l’opinione dei più può essere manipolata, e chi sa manipolare è il furbo, allora l’élite sarà dei furbi soltanto dei furbi. Si capisce così perché i democristiani non parlino mai di religione e di morale, ma sempre di sociologia, psicologia ecc.», concludendo altrove (Soffocare tra le verità impazzite, in Il Sabato, 19-09-1987) laconicamente che: «É quel che è accaduto in Italia nel quarantennio democristiano. Una secolarizzazione così piena non era riuscita né ai giacobini, né ai massoni, né ai comunisti e la ragione deve esserci».
COSA RESTA DI “CRISTIANO”? NIENTE, SALVO L’OSSEQUIO FORMALE: IL CLERICALISMO. I PRINCIPI VENDUTI PER UN CAMPANILE…
...SONO IN (S)VENDITA!
Cosa resta allora di cristiano in tutto ciò? Resta l’ossequio formale, il clericalismo. Nella sfasatura dottrinale che caratterizza il democristianismo, esso ribalta il giusto equilibrio tra sfera spirituale e temporale. La dottrina cattolica (Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota circa l’impegno dei cattolici nella vita politica) insegna infatti che vi sono elementi – il “minimo sindacale” dei cosiddetti «principi non negoziabili» e, più in generale, la promozione del bene comune (cioè il bene morale a livello sociale) – su cui il laico, anche politico, non può mai cedere, a cui mai può rinunciare nel proprio agire. Ciò a cui è sempre vincolato è la morale, dalla quale non può svincolarsi, perché non è nel carisma del laico fissare i principi morali, bensì è suo ministero applicarli. Schematicamente si potrebbe dire che attiene alla sfera spirituale la morale e la sua individuazione è esclusivo appannaggio del chierico, del sacerdote (Concilio Vaticano II, Apostolicam actuositatem, n. 24), mentre attiene alla sfera temporale il governo dell’ambito socio-politico ed esso è esclusivo appannaggio del laico (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 43).
Ciò non significa che il laico sia solo un passivo esecutore di ogni volontà del chierico, anzi. L’autonomia del laico nell’ambito temporale, insegna la Chiesa, c’è: ma essa non è sui principi, bensì verte sulle modalità di applicazione dei principi stessi. Il laico non deve sottostare a qualunque richiesta del sacerdote, ma solo ai suoi ammonimenti morali (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 43). L’autonomia del laico non è quindi nell’individuare cosa sia morale, ma nel modo di applicare quest’ultima; la sua autonomia è nei mezzi, in cui non viene in rilievo direttamente la morale. La sua autonomia è nelle «cose tecniche» (Pio XI, Quadragesimo anno, n. 41). Poiché però il democristiano cede proprio nell’ambito morale al secolarismo, l’unico modo che gli resta per ossequiare politicamente la religione, cui dovrebbe appartenere, è venire incontro alle esigenze secondarie della religione stessa, le stesse su cui il politico invece avrebbe una sua autonomia. E così, se sulla carta il laico dovrebbe applicare i principi morali fissati dal chierico e non necessariamente venire incontro a tutte le sue richieste legittime – come il restauro dei campanili e delle facciate delle chiese – o non legittime – come la decisione politica attiva del sacerdote in consiglio comunale –, si assiste nei fatti al ribaltamento perfetto della prospettiva: il laico democristiano non applica i principi, ma restaura prontamente i campanili e si rivolge al sacerdote per il suo parere nel redigere i piani comunali. In pratica, si scade, da un lato, nel puro clericalismo, nell’assecondare il sacerdote nelle questioni meno rilevanti, dove sussisterebbe l’autonomia laicale, eccettuandosi invece, dall’altro lato, dall’obbedire nelle questioni più importanti, in cui l’autonomia laicale non sussiste minimamente. Clericalismo nelle questioni laicali, laicismo nelle questioni clericali: è la realizzazione perfetta e inconsapevole del rischio – denunciato dal beato Giovanni Paolo II (Discorso ai Vescovi statunitensi di Baltimore, Washington, Atlanta e Miami in visita ad limina Apostolorum del 02-07-1993, nn. 2-6) e da Sua Santità Benedetto XVI – di «clericalizzare il laico e di laicizzare il chierico».
IL PROTOTIPO DEMOCRISTIANO DI IERI, DI OGGI E DI DOMANI. IL CASO ROSY BINDI
GEMELLI DIVERSI.... TUTTO E' COMPIUTO! Come aveva previsto Gramsci
In conclusione, il prototipo democristiano è Maria Rosaria (Rosy) Bindi. Il democristiano è sostanzialmente un credente che ha smarrito la retta prospettiva di fede, inseguendo prospettive mondane. Di recente, ad esempio, l’esponente del PD, in netto, stridente ed esplicito contrasto col Magistero – nonché in maniera pure profondamente insultante verso i cattolici che ascoltano il Magistero, quasi essi non fossero “pensanti” –, ha dichiarato ad un convegno di Agire politicamente che: «(…) c’è un disagio fortissimo, da parte di tutti i cattolici pensanti, che non sono coloro i quali credono che la fede si affermi a colpi di crocifisso da inchiodare sulle pareti degli uffici pubblici o delle aule scolastiche. Occorre però uscire dal disagio (…). Occorre dire ai nostri vescovi di riprendere in mano il percorso abbandonato del concilio Vaticano II, di lasciare perdere i “valori non negoziabili” perché in politica bisogna negoziare per raggiungere sintesi migliori e perché quell’ambito spetta ai laici, che non possono subire scomuniche perché si inoltrano nella difficile arte della mediazione». Si diceva che la Bindi è il prototipo democristiano. Ciò non perché non esistano anche democristiani ingenui, in buona fede e fedeli alla prospettiva cattolica, né perché non vi siano vari modi di essere democristiani (indubbiamente vi sono democristiani più ambigui) – pur nella medesima e comune riserva mentale di fronte alla dottrina cattolica –, ma perché la Bindi ne è il risultato coerente, l’esempio perfetto: un cristianesimo svuotato della sua colonna vertebrale (dottrinale), che pone ossequio a falsi idoli, come la democrazia. Nel caso specifico, la cosa è poi assai più grave. Infatti, la linea politica della Bindi – e dei cattolici confluiti nel centrosinistra del vecchio Ulivo – si richiama alla (e si nutre della) prospettiva dossettiana.
Ebbene, come ha mostrato efficacemente don Gianni Baget Bozzo, il pensiero di don Dossetti – oltre a dimenticare del tutto il principio di sussidiarietà (Giacomo Biffi, Memorie e digressioni di un italiano cardinale) – tendeva a mettere da parte il diritto naturale – che è il cardine e fondamento dei suddetti principi non negoziabili – e ad assolutizzare invece i principi e le istituzioni della Costituzione repubblicana (diritto positivo), facendo sottostare così (esplicitamente o implicitamente) la morale naturale alle leggi civili, nonostante la Chiesa insegni che il diritto positivo, le leggi umane, debbano sottostare al diritto naturale e non viceversa. Il risultato di una tale prospettiva è il disinteresse totale nei confronti della morale naturale – ribadita dalla Chiesa –, che dovrebbe essere il fine del cattolico in politica, e una preoccupazione smodata per quelli che sono invece solo dei mezzi – le istituzioni democratiche. Non è raro sentire Rosy Bindi – o altri prodotti del dossettismo e del democristianismo in genere – lamentarsi del cattivo stato di salute della democrazia e delle istituzioni, nonché invocare la Costituzione, piuttosto che i principi morali affermati dalla Chiesa.
IL NEO-CENTRISMO È UN’ILLUSIONE. CHE PORTERÀ A RISULTATI ANTICATTOLICI.
Alla luce di quanto detto, nella prospettiva odierna, ha dunque senso riproporre un nuovo movimento di centro che unisca i cattolici? La storia, oltre che la logica, ci dimostrano che non solo non ha concettualmente senso, ma che esso si è sempre perennemente risolto in posizioni contrarie alla dottrina cattolica, e quindi in un tradimento delle intenzioni di molti che lo hanno votato. L’errore (o, forse, gli errori) di fondo del democristianismo infatti non è collocato in un passato ormai ininfluente. Nella misura in cui ci si collochi al centro dello scacchiere politico, nella misura in cui l’eventuale nuovo soggetto sia popolato dai vecchi democristiani – gli stessi volti che hanno popolato il passato democristiano, sposando l’ambiguità della DC (Buttiglione, Fioroni, Casini, Cesa, etc.) –, nella misura in cui ci si richiami retoricamente alle figure democristiane del passato, il democristianismo – o il neocentrismo – odierno (o di domani) è necessariamente orientato verso il compromesso con prospettive anticattoliche. È vero che, a livello locale o singolare, sono possibili delle eccezioni, cioè è possibile che dei singoli si collochino in partiti neo-democristiani e però mantengano un’identità cattolica cristallina, ma ciò non significa che il soggetto democristiano, per ciò stesso, si possa salvare nel suo complesso e sia la casa dei cattolici: quand’anche vi siano singole figure coerenti, l’ascesa di quei singoli all’interno di un contesto di cattolici che invece cedono rispetto alla propria identità, è un’ascesa oggettivamente impossibile: farsi strada nel contesto di un ambiente incoerente verso la dottrina cattolica e pretendere di fare di quell’ambiente un ambiente pienamente cattolico è palesemente un’illusione. Chiunque si impegni in (o voti) partiti di questo genere, in nome di quest’illusione, finisce semplicemente col portare avanti soggetti che, nel loro complesso, ne trascineranno l’impegno (o il voto) verso sponde inevitabilmente sgradite, in un continuo gioco di illusioni di carta e tradimenti di fatto. Il massimo risultato ottenibile in un partito democristiano è incidere nel proprio ristretto spazio personale, all’interno del proprio bacino geografico, e nulla di più. Detto altrimenti, facendo un esempio, se anche vi fosse un politico cattolico coerente schierato nel partito centrista alle comunali, il massimo che si otterrà sarà che i cattolici del comune interessato avranno un buon cattolico a livello comunale. Ma, nel momento stesso in cui votassero il partito ad altri livelli – provincia, regione, parlamento –, perché indotti dal buon esempio comunale, si troverebbero col votare cattolici incoerenti disposti al compromesso. La figura del buon cattolico democristiano conduce così al più assurdo dei paradossi: nonostante la sua condotta politica esemplare, egli fungerà da specchietto per le allodole che, pur a fronte della sua buona politica (dal punto di vista cattolico), favorirà una cattiva politica a livello complessivo. Il buon cattolico centrista opera bene nel suo campo, ma induce i suoi elettori a votare dei traditori che opereranno male nel proprio. È, ancora una volta e anche qui, il dramma perenne del centrismo: secolarizzare, nonostante si appaia difensori della fede che si sta secolarizzando.
Bibliografia minima:
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Eugenio Corti, Il fumo nel tempio, Ares, 2001
Roberto de Mattei, Il centro che ci portò a sinistra. Le responsabilità della classe dirigente cattolica analizzate dopo la lettera ai vescovi italiani di Giovanni Paolo II del 6 gennaio 1994, Edizioni Fiducia, 1994
Augusto Del Noce, Cristianità e laicità. Scritti su «Il Sabato» (e vari, anche inediti), Giuffrè, 1998
Cornelio Fabro, La trappola del compromesso storico. Da Togliatti a Berlinguer, Logos, 1979
Stefano Fontana, L’età del Papa scomodo. Chiesa e politica negli ultimi tre anni, Cantagalli, 2011
Filippo Giorgianni, Dov’è la Destra che non c’è?, in Riscossa Cristiana (sito: <http://www.riscossacristiana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=679:dov-la-destra-che-non-ce-di-filippo-giorgianni&catid=54:societa-civile-e-politica&Itemid=123>)
Marco Invernizzi (a cura di), 18 aprile 1948. L’«anomalia italiana», Ares, 2007
Marco Invernizzi, L’Unione elettorale Cattolica Italiana. 1906-1919. Un modello di impegno politico unitario dei cattolici, Edizioni Cristianità, 1993
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Giuseppe Montalbano, Inconciliabilità tra marxismo e cattolicismo, Krinon, 1986
Jacques Ploncard d’Assac, Apologia della reazione, Edizioni del Borghese, 1970
Giovanni Zenone, A sinistra di Dio. Origine e destino del laicismo, Fede&Cultura, 2007
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breve riflessione mia:
wuao!! argomento appassionante e molto ben composto….
mi piacerebbe che si potesse approfondirlo maggiormente in quella diabolica e perversa associazione fra l’idea di una democrazia-EVANGELICA… dalla originale “democrazia” nata in campo greco e che significava semplicemente “governo del popolo”…
Entrando nello specifico Gesù Cristo non ha mai rilasciato il “governo al popolo”….al contrario, lo ha definito un gregge per il quale è necessaria la figura del pastore…
DEMOS, che significa appunto POPOLO e cratos che significa POTERE era, nel Vangelo, specifico alla LEGGE DI DIO verso la quale il popolo doveva attendere – liberamente e per essere veramente libero – attraverso L’AUTORITA’ degli Apostoli ai quali Cristo aveva dato ogni potere, soprattutto scegliendo Pietro, dandogli LE CHIAVI e sostenendo che tutto ciò che avrebbe legato sulla terra sarebbe stato legato in cielo e tutto ciò che avrebbe sciolto sulla terra sarebbe stato sciolto nei cieli….nonchè,, ancor più importante, IL POTERE DI RIMETTERE I PECCATI…
L’idea dunque di De Gasperi sul suo concetto di democrazia-evangelica… non regge assolutamente, semmai si spinge verso quella linea del protestantesimo liberale, portabandiera di una idea di democrazia frammista al vangelo, senza l’autorità di Pietro, ma con l’autorità ai pastori e ad un sinodo mondiale…