SCOPERTA UNA NUOVA ISOLA NEL PACIFICO...SI MA DI SPAZZATURA 4 VOLTE L'ITALIA

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Caterina63
00mercoledì 23 settembre 2009 19:29
Un gruppo di ricercatori californiani sta studiando
la Great Pacific Garbage Patch, una chiazza di detriti grande quattro volte l'Italia

Nel cuore del Pacifico
c'è una nuova isola (ma di spazzatura)


di Maria Maggi

spazzaturaNell'oceano Pacifico c'è una nuova "isola" che si estende su una superficie grande oltre quattro volte l'Italia. Si trova a nord delle isole Hawaii nella fascia di latitudine tra il Giappone e la California. È una concentrazione galleggiante di spazzatura, accumulata dai venti e dalle correnti, denominata Great Pacific Garbage Patch (grande chiazza di immondizia del Pacifico). Ha un diametro di circa 2500 chilometri, è profonda anche trenta metri e composta per l'ottanta per cento da plastica.

La plastica è un materiale eccezionale, resistente ed eclettico, ma anche indistruttibile:  un sacchetto o una bottiglia impiegano fino a mille anni per dissolversi in natura.

La stragrande maggioranza degli oggetti di plastica, costruiti negli ultimi cento anni, ossia da quando esiste questo materiale artificiale, c'è ancora. Solo una piccolissima percentuale è stata incenerita o riciclata, una parte è finita nelle discariche e il rimanente nei corsi d'acqua e nel mare. Nel mondo sono prodotti circa 100 miliardi di chilogrammi all'anno di plastica, dei quali, grosso modo, il dieci per cento termina in mare. Di questo il settanta per cento si adagia sul fondo degli oceani danneggiando la vita dei fondali. Il resto continua a galleggiare e si accumula in particolari aree marine.

In queste zone i rifiuti di massa rilevante sono pochi e distanziati, mentre la maggior parte della spazzatura è costituita da piccoli frammenti di materia plastica in sospensione nell'acqua. Per questo la grande chiazza del Pacifico è difficilmente localizzabile con immagini aeree o satellitari; inoltre, si trova in una zona dell'oceano poco battuta dalle navi. Perciò ha potuto crescere indisturbata, si pensa, da circa mezzo secolo. Solo una decina di anni fa è stata scoperta con costernazione dai naviganti, che per caso si sono spinti laggiù e si sono trovati immersi in una melma di plastica e altri detriti, occupanti tutta la superficie marina per giorni e giorni. L'area in cui si colloca questo sterminato immondezzaio è nota come "il cerchio del Nord Pacifico", caratterizzato da venti leggeri e lente correnti oceaniche circolari che formano un vortice al cui interno si crea un'area di alta pressione. Zone con queste particolarità atmosferiche si trovano in tutti gli oceani, ma quella del Pacifico è la più vasta. A causa delle correnti circolari, gli oggetti abbandonati che fluttuano in questa parte di oceano sono spinti in superficie e rimangono a galla intrappolati nell'area, che è una specie di deserto acquatico.

Dell'isola di spazzatura si è occupata la guardia costiera californiana, che ha calcolato che la massa di questi rifiuti raggiunga i quattro milioni di tonnellate e che sia in continuo aumento. La maggior parte della plastica giunge dalle regioni costiere. Il resto, circa il venti per cento, proviene da navi da crociera, da navi commerciali e da pescherecci. Questa immensa discarica si trova a poche miglia a nord delle isole Hawaii in cui, proprio per fronteggiare il pericolo che la zuppa di plastiche raggiunga le coste, si è attuato un programma di difesa delle acque rimuovendo grandi quantità di rifiuti. Si sa, però, che tonnellate e tonnellate di nuovi rifiuti inondano ogni anno lo specchio di mare al nord delle isole statunitensi.

Il materiale, talvolta, è finito, come si temeva, al di fuori del vortice andandosi ad arenare su alcune spiagge delle Isole Hawaii o addirittura della California. Ogni anno, si calcola, circa 150.000 tonnellate di plastica si depositano sulle coste del solo Giappone. In alcuni casi la quantità di plastica rinvenuta su tali spiagge ha formato uno strato spesso alcuni metri.
 
La plastica è poco biodegradabile e per la permanenza in acqua, col continuo movimento delle onde, si frantuma in particelle che poi finiscono nello stomaco di molti animali marini - talvolta anche interi oggetti sono stati rinvenuti nello stomaco di tartarughe, uccelli marini, delfini, squali - portandoli alla morte. Quella che rimane si decomporrà solo tra centinaia di anni, continuando a provocare danni alla vita marina. Inoltre la plastica, come anche il polistirolo, nel degradarsi in mare rilascia sostanze tossiche e i minuscoli pezzetti si trasformano in una sorta di spugna per agenti inquinanti come idrocarburi e Ddt. Tutto ciò poi entra nella catena alimentare.

In agosto un gruppo di ricercatori dello Scripps Institution of Oceanography dell'università della California a San Diego ha condotto una spedizione per lo studio dettagliato dell'isola di spazzatura.

Utilizzando la nave "New Horizon", hanno raccolto molti dati e campioni dell'enorme ammasso di "scarti della civiltà" che fluttua nelle acque oceaniche a circa 1800 chilometri dalla costa californiana.

La spedizione, chiamata Seaplex (Scripps environmental accumulation of plastic expedition) vuole cercare di ottenere un insieme di dati utili non solo per il Great Pacific Garbage Patch, ma anche per le altre chiazze presenti nei mari del mondo e capire se è possibile ripulire questo tratto di oceano in modo non traumatico per l'ecosistema. Si è visto, infatti, che anche in quel tratto invaso dalla spazzatura non esistono solo particelle di plastica, ma anche organismi viventi che costituiscono il plancton. Si stima che nella chiazza del Pacifico per ogni chilogrammo di plancton ci siano sei chilogrammi di plastica.

Si è anche scoperto che alcune specie marine iniziano a sentire come "casa" la grande chiazza, modificando le proprie abitudini di vita, come alcuni cirripedi, gamberi, granchi, cozze o patelle aggrappati alla superficie di bottiglie di plastica o altri detriti.
Dai risultati prodotti dalla spedizione Seaplex si cercherà di scoprire se le piccole particelle di plastica contengono particolari inquinanti, come i pesticidi, e di valutare se i microrganismi marini legati ai detriti possano essere trasportati in aree distanti dal luogo di origine.

L'obiettivo finale è rimuovere la spazzatura senza disturbare ulteriormente gli ecosistemi e di riciclarla nel modo migliore; si sta addirittura pensando di estrarre carburante dalla plastica raccolta.



(©L'Osservatore Romano - 24 settembre 2009)
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