Il comitato etico sblocca la Ru486 con l'obbligo di tre giorni in ospedale
Torna la pillola, resta il pregiudizio:
"Donna, abortirai con dolore"
Ritanna Armeni
L'ospedale Sant'Anna di Torino potrà riprendere la sperimentazione sulla pillola abortiva RU486, quella sperimentazione che era stata sospesa dal ministro della salute Storace.
Si può dire che alla fine il buon senso ha vinto e che anche in Italia si sperimenterà un farmaco che in altri paesi é usato da anni? Non proprio. Anche la vicenda dell'ospedale Sant'Anna e delle pillola abortiva é indicativa del modo in cui in Italia si affronta l'antica questione dell'aborto.
Ricordiamo i fatti. Qualche settimana fa l'ospedale Sant'Anna ha iniziato la sperimentazione della pillola. Il ministero l'ha bloccata ma - attenzione - non per motivi etici, giacché questi avrebbero suscitato scalpore e reazione, ma per motivi igienico-sanitari. Le donne che intendono ricorrere alla interruzione volontaria della gravidanza non sono garantite - secondo il ministero - da un uso della pillola anche se sotto controllo medico. C'è bisogno di un maggior controllo e quindi del ricovero in ospedale. In poche parole, l'aborto, anche non chirurgico, deve rimanere un intervento completamente ospedalizzato, non correre il rischio di una normalizzazione attraverso la riduzione del danno psicologico che una interruzione di gravidanza sempre comporta.
E' evidente che se i medici del Sant'Anna non avessero obbedito all'ordinanza, la conseguenza immediata sarebbe stata il blocco della sperimentazione: Storace avrebbe vinto. I medici invece hanno preferito accettare il compromesso, hanno modificato il protocollo e hanno introdotto una clausola per cui la donna deve rimanere in ospedale per tutta la durata del trattamento, cioè tre giorni.
E il comitato etico, esaminato il nuovo protocollo, ha autorizzato di nuovo la sperimentazione.
Chi paga il prezzo? Quelle donne che avrebbero potuto interrompere la gravidanza con la pillola in una situazione di minore sofferenza. Quei tre giorni in ospedale stanno lì a ricordare che in Italia si può abortire sì, ma con dolore, che l'interruzione della gravidanza é possibile, ma rimane una colpa, che - come dicono apertamente ormai molti nostri politici - l'aborto é un omicidio e quei tre giorni di ospedale sono, in fondo, il minimo della pena. Occorrerà chiedere il permesso dal lavoro, sarà più difficile mantenere l'evento nel riserbo, se si hanno dei figli per quei tre giorni si dovranno sistemare da qualche parte. Protestano i medici del Sant'Anna dicendo che le garanzie mediche e sanitarie erano già ampie, che ora si dovranno reperire più letti e più medici e che le spese aumenteranno. Proteste razionali, ma vane: che cosa é qualche euro in più se questo garantisce che le donne almeno un po' continueranno a soffrire e che il principio "abortirai con dolore" rimane fermo?
www.liberazione.it/giornale/051005/archdef.asp