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Slobodan
00giovedì 15 dicembre 2005 11:36
L'Iraq alle urne, tra le violenze

Talabani: un giorno storico e una festa per tutti gli iracheni


BAGDAD - un giorno storico e una festa per tutti gli iracheni. Il presidente dell'Iraq Jalal Talabani stato tra i primi a recarsi alle urne stamattina nella citt di Sulaimaniyah, nel nord del paese. Alle 7 ora locale, le 5 in Italia, in tutto l'Iraq si sono aperti i seggi sotto strette misure di sicurezza per le cruciali elezioni generali destinate a dare al Paese il primo Parlamento nazionale investito di pieni poteri nell'era del dopo-Saddam. I deputati eletti sostituiranno i rappresentanti dell'Assemblea provvisoria. Si tratta della terza consultazione in un anno per l'Iraq, dopo le politiche di gennaio e il referendum di ottobre sulla Costituzione.

PRIMA VITTIMA - L'inizio ufficiale della consultazione stato segnato da nuovi episodi di violenza: a Mosul una bomba ha ucciso la guardia di un ospedale che usciva dal vicino seggio elettorale. L'ordigno era stato piazzato lungo il ciglio di una strada adiacente. In precedenza esplosioni, salve di mortaio e sporadiche sparatorie si erano registrate nella capitale, vicino alla cosiddetta Zona Verde, sede anch'essa delle operazioni di voto (l'attacco stato poi rivendicato sul Web da un gruppo legato ad al Qaeda, "lesercito della comunit vittoriosa"), cos come a Ramadi, a Tikrit e a Kirkuk, poco prima o immediatamente dopo l'apertura dei seggi; in nessun caso erano per stati riscontrate vittime.

IN FILA PER VOTARE - Ma le tensioni non sembrano fermare gli iracheni: si segnalano lunghe code davanti ai seggi. L'affluenza alle urne prevista in netto aumento rispetto alle precedenti occasioni: intorno al 70-80 per cento, a fronte del 59 per cento di gennaio e del 64 per cento di ottobre.

FAVORITI - Grande favorita per la vittoria resta l'Alleanza Irachena Unita, il cartello che raggruppa le principali formazioni sciite e che guidato dal partito pi importante della comunit maggioritaria nel Paese, il Supremo Consiglio per la Rivoluzione Islamica in Iraq di cui leader Abdel Aziz al-Hakim. Non appaiono in grado di contrastarla n l'Accordo Nazionale Iracheno dell'ex premier Iyad Allawi, uno sciita moderato di impronta piuttosto laica, n il Congresso Nazionale Iracheno del vice premier Ahmad Chalabi, figura discussa per i suoi trascorsi ai margini della legalit, un tempo con forti appoggi a Washington ma poi caduto in disgrazia. Nessuno dei gruppi sciiti conta comunque sull'appoggio esplicito della guida spirituale della comunit, l'ayatollah Ali al-Sistani, in assoluto una delle figure pi influenti a livello nazionale, e non solo; Sistani in questa occasione ha optato per mantenersi ai margini del dibattito politico, mentre in passato il suo sostegno all'Allenza Unita era stato palese. Nel nuovo Parlamento 45 seggi saranno in ogni caso riservati alle minoranze: in particolare, dal punto di vista religioso, ai cristiani che rappresentano cirdca il 3 per cento della popolazione; e, sotto il profilo etnico, ai turcomanni.
















Le speranze dell'Iraq che oggi va alle urne
di BERNARDO VALLI

IL MEDIO Oriente complicato va affrontato con idee semplici. E' il modo migliore per tentare di decifrarlo. Appunto semplificando, si pu dire che l'Iraq, eleggendo oggi il Parlamento da cui uscir il primo governo costituzionale, vota al tempo stesso in favore o contro una possibile soluzione politica del conflitto armato, assai simile a una guerra civile, in cui immerso ormai da anni. La scelta tormentata. E' offuscata dalle tragedie della vita quotidiana. Un'esistenza ritmata dai lutti familiari, dalle stragi indiscriminate e dagli assassini mirati, dalle frequenti interruzioni della corrente elettrica e dalla scarsit dell'acqua, dalla difficolt di trovare un lavoro, dalle frustrazioni di un'occupazione straniera incapace di imporre l'ordine. Un'occupazione essa stessa matrice di violenza. In questa situazione le schede deposte nelle urne sono espressioni democratiche, il pi delle volte dettate dal desiderio di vendetta o di sopraffazione.

E' senza dubbio un aspetto positivo che lo spietato confronto tra le fazioni, pur crescendo di intensit, abbia adesso, al contempo, un risvolto civile nei seggi elettorali. Potrebbe essere un primo passo verso un processo politico, destinato col tempo ad assorbire e annullare la lotta armata. La cruda realt ridimensiona tuttavia questa visione ottimistica che lascia intravedere la fine del tunnel. E' come se oggi in Iraq ci fossero due fronti. A quello militare si aggiunto quello politico. Il primo non offre una soluzione. Una vittoria militare appare una meta troppo lontana agli americani. I quali hanno fretta di ritirare o di ridurre drasticamente le loro truppe, ma non possono permettersi una ritirata. Le conseguenze sarebbero disastrose. Non solo per il loro prestigio. Partiti in guerra per combattere il terrorismo, se ne andrebbero lasciandosi alle spalle un terrorismo trionfante, in uno dei maggiori Paesi del Medio Oriente.

E' dunque sul fronte politico che si spera di trovare, col tempo, una soluzione non troppo disastrosa. Questo secondo fronte si aperto, in modo confuso, con le elezioni di gennaio (per l'Assemblea provvisoria) e il referendum d'ottobre (sulla Costituzione), ed altres con trattative segrete di cui sappiamo poco o nulla. Il segnale pi importante la partecipazione al voto di oggi della comunit sunnita, che alimenta l'insurrezione armata e il terrorismo dei gruppi internazionalisti (legati ad Al Qaeda) dei quali alleata pi o meno consenziente. In gennaio furono pochi i sunniti che votarono; ma in ottobre, in occasione del referendum, la loro affluenza fu molto pi consistente.

Accortisi che la scarsa presenza nell'Assemblea provvisoria li aveva praticamente esclusi dal dibattito sulla Costituzione, alcuni partiti moderati sunniti hanno deciso di entrare nella nuova gara elettorale, nonostante il parere contrario del loro massimo organismo religioso (che continua a rifiutare "un voto organizzato dagli occupanti stranieri") e i segnali non sempre decifrabili dei gruppi della guerriglia.

Al tempo stesso ha un forte significato il fatto che gli americani abbiano appoggiato, durante la campagna elettorale, Aiyad Allawi, l'ex primo ministro, da sempre favorevole a un recupero dei membri del Baath, il partito unico del vecchio regime, di cui lui fu un dirigente prima di diventare uno dei maggiori oppositori di Saddam Hussein. In esilio a Londra, Allawi fu vittima di un attentato che lo lasci paralizzato alle gambe per parecchi mesi. All'epoca organizzava, con l'aiuto della Cia, sfortunati complotti contro il rais di Bagdad. I suoi stretti rapporti con l'intelligence americana e con il Dipartimento di Stato non gli servirono nel 2003 a far prevalere la tesi secondo la quale bisognava recuperare i dirigenti del Baath meno compromessi e gli ufficiali dell'esercito indispensabili alla ricostruzione dello Stato iracheno. Ebbero la meglio, allora, il Pentagono e Ahmed Chalabi, controverso uomo d'affari molto ascoltato a Washington, che ottennero lo scioglimento del Baath e dell'esercito. Cos i funzionari e i militari disoccupati, finirono con le loro armi tra le braccia dell'insurrezione.

Aiyad Allawi (alle origini un medico pediatra) uno sciita laico, animatore dell'Intesa Nazionale Irachena, in cui convivono personalit sciite e sunnite. A lui sono attribuiti seri tentativi di dialogo con gli esponenti saddamisti dell'insurrezione armata. I rapporti si sarebbero intensificati negli ultimi mesi, da quando i sunniti hanno deciso di partecipare alle elezioni, e quindi al processo politico. In gennaio il suo partito ottenne un modesto 14%, ma adesso punta molto pi in alto. E i mezzi finanziari a sua disposizione durante la campagna elettorale hanno fatto pensare a un aperto sostegno americano.

Un sostegno significativo. Allawi ha infatti attaccato frontalmente l'Alleanza Unita Irachena in cui sono raccolti diciotto partiti sciiti, dei quali i principali sono: Sciri, Supremo Consiglio islamico per la rivoluzione in Iraq, guidato da Abdelaziz al - Hakim, e Dawa di Ibrahim al - Jaafari, attuale primo ministro. L'Alleanza ottenne il 48% in gennaio e quel trionfo le assicur i principali ministeri (condivisi con l'Alleanza curda, che ebbe il 26%, e la presidenza della Repubblica, affidata a Jalal Talabani). La benedizione pi o meno esplicita dei quattro grandi ayatollah, membri della marjaiya, la direzione religiosa sciita con sede a Najaf, di cui Ali al-Sistani il pi prestigioso, d senz'altro anche oggi un enorme vantaggio all'Alleanza Unita Irachena. Ma non si pu certo sostenere che essa abbia governato con successo. Sul piano militare le forze armate nazionali non hanno fatto grandi progressi e su quello economico la situazione resta disastrosa.

Lo stretto rapporto tra il governo di Bagdad e quello di Teheran ha creato perplessit. Il generale Wesley K. Clark, ex comandante della Nato negli ultimi anni Novanta, ha evocato in un articolo la preoccupazione degli amici mediorientali degli Stati Uniti (ossia dei paesi sunniti limitrofi all'Iraq) che vedono in quel rapporto un rafforzamento dell'Iran teocratico e antiamericano. L'ampia autonomia concessa dalla nuova Costituzione irachena alle regioni, fa di quella meridionale dominata dagli sciiti, un'area sotto influenza iraniana. Sia il partito Dawa del primo ministro Jaafari, sia il partito Sciri di Hakim, hanno vecchi e mai recisi legami con Teheran. Paradossalmente il "processo democratico" promosso dagli americani sta irrobustendo il regime pi antiamericano del Medio Oriente. Altro paradosso, l'ambasciata degli Stati Uniti (o la Cia generosa con il suo collaboratore di un tempo) aiuta Aiyad Allawi, il quale, da posizioni laiche, cerca di arginare l'ondata teocratica dei partiti religiosi sciiti, sensibili ai richiami di Teheran; e tenta di allacciare un dialogo con i membri del Baath adesso impegnati nella guerriglia. Di quel partito saddamista che Washington ha subito messo al bando, appena occupata Bagdad.

Aiyad Allawi in prima linea sul fronte politico. Gli americani lo apprezzano perch potrebbe aprire una breccia. Un sia pur lento recupero dei sunniti, un loro pi netto, progressivo coinvolgimento nel processo politico, irriterebbe i maggiori partiti religiosi sciiti, finora indispensabile sostegno per gli americani e gelosi del loro potere; ma favorirebbe un riassorbimento dell'insurrezione armata, perlomeno l'isolamento di quella pi dedita al terrorismo: quella internazionalista che fa capo ad Al Qaeda. Il previsto trionfale successo dell'Alleanza sciita non favorir questo auspicato processo.

Immersi nelle loro passioni quotidiane, e circondati da tante minacce, gli elettori iracheni non riescono probabilmente a vedere in queste ore con chiarezza la scelta cui sono messi di fronte. Dal loro voto, sia pur espresso con l'animosit dettata dalla guerra tra fazioni, dipende il corso di una guerra senza fine. Gi l'elezione in s conclude il mandato affidato alla forza multinazionale dal Consiglio di sicurezza. Mandato che scade di fatto con il voto di fiducia del nuovo Parlamento al primo governo costituzionale. E quindi da rinnovare. Ma dalla natura del futuro governo, con piena formale sovranit, dipender anche la possibilit o meno di arrivare, col tempo, a una soluzione politica. L'unica prevedibile, visto che quella militare non figura all'orizzonte.

(15 dicembre 2005)
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