La PAURA riunisce i socialisti francesi

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Slobodan
00lunedì 21 novembre 2005 20:41
Dal Corriere di oggi:


Al congresso accordo di compromesso sul programma

Il ribelle Fabius entra nello stato maggiore. Ma i contrasti restano


LE MANS - Si dice che la paura fa novanta, ma per i socialisti francesi fa cento. Paura delle scissioni interne, del distacco dal Paese reale, della sconfitta di fronte ad una destra che cavalca con successo le bandiere dell’ordine e della sicurezza.
Quindi colpo di spugna su correnti e percentuali, tregua sulle ambizioni personali e «mozione di sintesi» che conferma la leadership del segretario, François Hollande e fa rientrare nello stato maggiore il ribelle, Laurent Fabius, l’uomo del «no» all’Europa e della svolta radicale. «Lasciamo alle spalle il maggio 2002 e il maggio 2005 e pensiamo al maggio 2007», è l’invito di Hollande rivolto ad una platea di militanti piuttosto scettica sull’inatteso risultato di una lunga notte di conciliaboli fra le correnti.
Il maggio 2007 è la madre di tutte le battaglie - le presidenziali - e l’appello unitario di Hollande si rivolge non solo al partito, ma a tutta la sinistra francese, compresa quella estrema «che ha il diritto di aspettare la rivoluzione» ma dovrà decidere come votare per l’Eliseo. Cominciato sotto i peggiori auspici, il Congresso del centenario si conclude con uno sforzo unitario cui non sembra estraneo l’«effetto Prodi», osservato speciale di una sinistra francese che guarda con interesse al progetto (la «fabbrica sul programma»), al metodo (le primarie) e alla scelta di un candidato unitario. «La Francia ci chiede unità e chiarezza», ha detto Hollande.
La «sintesi» è però ancora la foglia di fico sulle divisioni ideologiche e sulle riforme che il partito socialista vuol proporre al Paese. Anche le opzioni sul candidato alle presidenziali rimangono aperte. Probabilmente non sarà Hollande, in ogni caso non si deciderà prima del novembre prossimo: un anno a disposizione dei «colonnelli», da Jack Lang a Dominique Strauss Kahn, allo stesso Fabius.
L’unità della paura è stata ritrovata nella demonizzazione della destra al governo e del suo più brillante rappresentante, Nicolas Sarkozy. La Francia che descrive Hollande è un Paese in crisi di fiducia e di speranza, con un modello di stato sociale che il governo sta demolendo per favorire i ceti più abbienti e il capitalismo finanziario. Gli attacchi alla politica d’emergenza per mettere fine alle violenze nelle banlieue sono ripetuti.
L’alternativa socialista resta però oscillante fra la «rivoluzione conservatrice» che azzeri le riforme della destra e l’evoluzione riformista che coniughi solidarietà e mercato. La paura di non essere «abbastanza a sinistra» è ancora più forte della paura di perdere. L’equivoco potrà essere camuffato da una scelta d’immagine che catturi il consenso popolare. Lionel Jospin e Ségolène Royal aspettano. Le elezioni si vincono anche in televisione.




L'intervento di Glucksmann :

«Il Ps non si degna di studiare Blair. Sogna ancora un altro mondo per non dover riformare questo»

«Questa sinistra è abulica, senza ricette per il futuro»


Svolta «radicale» prima delle elezioni, poi marcia indietro opportunista in caso di vittoria: il metodo classico di Guy Mollet, François Mitterrand e Lionel Jospin seduce nuovamente i (numerosi) candidati alla successione. Il congresso socialista del weekend era stato perfettamente inutile, la sua «mozione di sintesi» esce da un anacronistico libro di ricette culinarie. Essere socialisti nella Francia attuale non è né facile né semplice. Dispute personali? Mancanza di un capo? Autismo? Non solo. La crisi è profonda, sintomo di un coma intellettuale di lunga data. François Mitterrand, più che altro adulato, talvolta retrospettivamente contestato, per i militanti resta un enigma, una versione democratica della mummia di Lenin. Chiedete a un socialista francese cosa significhi «socialismo», verrete sommersi da reminescenze gloriose, che egli suppone vergini d'ogni sospetto: Jaurès, l'affaire Dreyfus, il Fronte Popolare. Al di là di queste pie immagini, il nulla. Il socialismo francese ristagna allo zero concettuale. È un luogo della memoria più che un ritrovo di costruttori di futuro.
I recenti sondaggi lo dimostrano. L’opinione pubblica rinuncia a trovare un'idea nuova tra il baccano delle liti tra i responsabili del partito. Le buone intenzioni, che i francesi riconoscono volentieri al Ps, dimostrano l’«angelismo» del partito, non la sua efficacia. Oltre il 57% degli intervistati non lo considera una forza propositiva; il 59% pensa che non svolga bene il suo ruolo all'opposizione, il 60% prevede che nel 2007 perderà le presidenziali. Il pronostico potrà rivelarsi falso, ma il Ps non ritroverà il potere se non grazie a una destra che arroventa le lotte dei suoi capi. Nel 1981, l'odio di Chirac per Giscard aveva favorito l'elezione di Mitterrand. Per sbarrare la strada a Sarkozy, Chirac conta su Villepin ma, se quest'ultimo fallisse, opterà per il socialista, chiunque sarà. Quindi, il destino del Ps non è disperato. Non viene deciso a sinistra, ma a destra.
Le maggioranze mobilitate dal Ps sono volatili. Perché? Il partito vieta i sondaggi indipendenti. Si sa tuttavia che l'età media dei suoi 120 mila iscritti si aggira attorno ai 55 anni. Con il 5% di operai e il 5% di persone sotto i trent'anni, questo partito di pensionati (40%), di professori, d'impiegati del pubblico servizio e di alti funzionari vegeta nelle nicchie protette della società. I disoccupati, i giovani, i lavoratori del settore privato, le piccole e medie imprese non sono il suo mondo. Non è in ascolto dei francesi che si arrabattano contro la miseria, per resistere alla concorrenza o per innovare. La base sociale del Ps ne fa un partito essenzialmente conservatore. Seduto sul mantenimento dei vantaggi acquisiti, come i laburisti prima della Thatcher e di Blair, il Ps è l’ingranaggio di una società bloccata. Governo di destra o di sinistra, il tasso di disoccupazione non si sposta dal 10% da due decenni, e tende al 15 o 20% tra chi ha meno di 25 anni. Dimostrando che non è quello il suo principale problema, il Ps non si è mai degnato di studiare i risultati assai positivi di Blair.
Il blocco specifico dei socialisti francesi è mentale prima che politico. Sono intellettualmente ventriloqui. Ora separano con l'accetta il «sociale» e il «liberale»; ora li mischiano l'uno all'altro in mozioni ambigue. Quando il Ps è in vena di teorizzare, pensa con la sinistra della sinistra che solo il sociale conta e che l'economia si piegherà alle esigenze di programmi demagogici. Quando il Ps è in vena di agire, si inchina in silenzio a imperativi economici a breve termine. Così Fabius fu «ultra-liberale» da ministro e, tre anni dopo, «ultra-sociale» contro la costituzione europea. Il militante di rango vitupera il libero scambio come se la «mano invisibile» cara al XIX secolo garantisse urbi et orbi la dittatura planetaria del Capitale. A carico del «sociale», indefinibile ma ornato d'ogni virtù, il compito di introdurre due soldi di speranza. I socialisti sognano ancora un «altro mondo», ottimo pretesto per non analizzare questo mondo e riconoscere le riforme che esige.
L'antinomia è irriducibile. «Sociale» (umano) e «Liberale» (mercato) si oppongono come l'acqua e il fuoco, permettendo solo compromessi bastardi, zoppi, illusori. Questo è il credo che governa le dispute di clan e le riconciliazioni provvisorie. Fiorisce nella cucina ideologica socialista: un mestolo di convivialità, un pizzico di rigore economico? Qual è la proporzione ideale? Questo dibattito infinito e sterile assicura l'egemonia mentale dei socialisti in Francia. La destra sovranista o xenofoba e l'estrema sinistra cavalcano la stessa antinomia, per condannare la mondializzazione in nome della «nazione» o del «popolo».
La Francia sembra impegnata a dimenticare che l'Ue si fonda su un postulato contrario: le esigenze del progresso sociale e l'efficacia del mercato possono coniugarsi, come ha dimostrato mezzo secolo di crescita dell'Europa occidentale. Assumere che sociale e liberale si escludano è negare il nostro passato prossimo per promuovere un'impotenza nichilista di fronte al futuro che si profetizza catastrofico. L'abulia dei socialisti è sintomo d'una deriva egoista che porta gli elettori a dire «no» al progetto europeo. E che conduce l'Eliseo a preferire l'alleanza con Putin a costo d'insultare la Polonia e gli altri Paesi della nuova Europa, ai quali siamo debitori della caduta del Muro. Nei congressi socialisti come nei salotti del potere, tutto accade come se la parola «libertà» fosse diventata un vocabolo straniero.
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