Joseph VS Peppino

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Slobodan
00martedì 19 aprile 2005 16:55
Caro Peppino, memore della discussione privata sul relativismo che avemmo tempo fa,ascoltando Ratzinger(" Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie") mi son tornati in mente quei "paletti" che ti accusavo di non voler avere/vedere.
ti propongo qui la sua omelia antirelativista che IlFoglio di Ferrara oggi propone integrale.




La formidabile lezione del prof. Joseph Ratzinger

Incanta e convince l’omelia del decano dei cardinali contro il relativismo. Parla del mondo moderno con un senso acuto della sua crisi. Attraverso la Bibbia, il Vangelo e le lettere di San Paolo produce l’annuncio cristiano rinnovato per i fedeli. Ma anche una sintesi di cultura e di pensiero che rilancia nella Chiesa e nel mondo la battaglia filosofica e la guerra culturale per riconquistare un senso all’esistenza
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Pubblichiamo il testo dell’omelia del cardinale Joseph Ratzinger alla messa “Pro eligendo romano pontifice” celebrata ieri nella Basilica di San Pietro prima della chiusura del Conclave.


In quest’ora di grande responsabilità, ascoltiamo con particolare attenzione quanto il Signore ci dice con le sue stesse parole. Dalle tre letture vorrei scegliere solo qualche passo, che ci riguarda direttamente in un momento come questo.
La prima lettura offre un ritratto profetico della figura del Messia – un ritratto che riceve tutto il suo significato dal momento in cui Gesù legge questo testo nella sinagoga di Nazareth, quando dice: “Oggi si è adempiuta questa scrittura” (Lc 4, 21). Al centro del testo profetico troviamo una parola che – almeno a prima vista – appare contraddittoria. Il Messia, parlando di sé, dice di essere mandato “a promulgare l’anno di misericordia del Signore, un giorno di vendetta per il nostro Dio” (Is 61, 2). Ascoltiamo, con gioia, l’annuncio dell’anno di misericordia: la misericordia divina pone un limite al male – ci ha detto il Santo Padre. Gesù Cristo è la misericordia divina in persona: incontrare Cristo significa incontrare la misericordia di Dio. Il mandato di Cristo è divenuto mandato nostro attraverso l’unzione sacerdotale; siamo chiamati a promulgare – non solo a parole ma con la vita, e con i segni efficaci dei sacramenti, “l’anno di misericordia del Signore”. Ma cosa vuol dire Isaia quando annuncia il “giorno della vendetta per il nostro Dio”? Gesù, a Nazareth, nella sua lettura del testo profetico, non ha pronunciato queste parole – ha concluso annunciando l’anno della misericordia. E’ stato forse questo il motivo dello scandalo realizzatosi dopo la sua predica? Non lo sappiamo. In ogni caso il Signore ha offerto il suo commento autentico a queste parole con la morte di croce. “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce…”, dice San Pietro (1 Pt 2, 24). E San Paolo scrive ai Galati: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno, perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede” (Gal 3, 13s).
La misericordia di Cristo non è una grazia a buon mercato, non suppone la banalizzazione del male. Cristo porta nel suo corpo e sulla sua anima tutto il peso del male, tutta la sua forza distruttiva. Egli brucia e trasforma il male nella sofferenza, nel fuoco del suo amore sofferente. Il giorno della vendetta e l’anno della misericordia coincidono nel mistero pasquale, nel Cristo morto e risorto. Questa è la vendetta di Dio: egli stesso, nella persona del Figlio, soffre per noi. Quanto più siamo toccati dalla misericordia del Signore, tanto più entriamo in solidarietà con la sua sofferenza – diveniamo disponibili a completare nella nostra carne “quello che manca ai patimenti di Cristo” (Col 1, 24).
Passiamo alla seconda lettura, alla lettera agli Efesini. Qui si tratta in sostanza di tre cose: in primo luogo, dei ministeri e dei carismi nella Chiesa, come doni del Signore risorto ed asceso al cielo; quindi, della maturazione della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, come condizione e contenuto dell’unità nel corpo di Cristo; e, infine, della comune partecipazione alla crescita del corpo di Cristo, cioè della trasformazione del mondo nella comunione col Signore.
Soffermiamoci solo su due punti. Il primo è il cammino verso “la maturità di Cristo”; così dice, un po’ semplificando, il testo italiano. Più precisamente dovremmo, secondo il testo greco, parlare della “misura della pienezza di Cristo”, cui siamo chiamati ad arrivare per essere realmente adulti nella fede. Non dovremmo rimanere fanciulli nella fede, in stato di minorità. E in che cosa consiste l’essere fanciulli nella fede? Risponde San Paolo: significa essere “sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina…” (Ef 4, 14). Una descrizione molto attuale!
Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.
Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. E’ lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. E’ quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede – solo la fede – che crea unità e si realizza nella carità. San Paolo ci offre a questo proposito – in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come fanciulli sballottati dalle onde – una bella parola: fare la verità nella carità, come formula fondamentale dell’esistenza cristiana. In Cristo, coincidono verità e carità.
Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come “un cembalo che tintinna” (1 Cor 13, 1).
Veniamo ora al Vangelo, dalla cui ricchezza vorrei estrarre solo due piccole osservazioni. Il Signore ci rivolge queste meravigliose parole: “Non vi chiamo più servi… ma vi ho chiamato amici” (Gv 15, 15). Tante volte sentiamo di essere – come è vero – soltanto servi inutili (cf Lc 17, 10). E, ciò nonostante, il Signore ci chiama amici, ci fa suoi amici, ci dona la sua amicizia. Il Signore definisce l’amicizia in un duplice modo. Non ci sono segreti tra amici: Cristo ci dice tutto quanto ascolta dal Padre; ci dona la sua piena fiducia e, con la fiducia, anche la conoscenza. Ci rivela il suo volto, il suo cuore. Ci mostra la sua tenerezza per noi, il suo amore appassionato che va fino alla follia della croce. Si affida a noi, ci dà il potere di parlare con il suo io: “questo è il mio corpo...”, “io ti assolvo...”. Affida il suo corpo, la Chiesa, a noi. Affida alle nostre deboli menti, alle nostre deboli mani la sua verità – il mistero del Dio Padre, Figlio e Spirito Santo; il mistero del Dio che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16). Ci ha reso suoi amici – e noi come rispondiamo?
Il secondo elemento, con cui Gesù definisce l’amicizia, è la comunione delle volontà. “Idem velle – idem nolle”, era anche per i Romani la definizione di amicizia. “Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando” (Gv 15, 14). L’amicizia con Cristo coincide con quanto esprime la terza domanda del Padre nostro: “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”. Nell’ora del Getsemani Gesù ha trasformato la nostra volontà umana ribelle in volontà conforme ed unita alla volontà divina. Ha sofferto tutto il dramma della nostra autonomia – e proprio portando la nostra volontà nelle mani di Dio, ci dona la vera libertà: “Non come voglio io, ma come vuoi tu” (Mt 21, 39). In questa comunione delle volontà si realizza la nostra redenzione: essere amici di Gesù, diventare amici di Dio. Quanto più amiamo Gesù, quanto più lo conosciamo, tanto più cresce la nostra vera libertà, cresce la gioia di essere redenti. Grazie Gesù, per la tua amicizia!
L’altro elemento del Vangelo – cui volevo accennare – è il discorso di Gesù sul portare frutto: “Vi ho costituito perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15, 16). Appare qui il dinamismo dell’esistenza del cristiano, dell’apostolo: vi ho costituito perché andiate… Dobbiamo essere animati da una santa inquietudine: l’inquietudine di portare a tutti il dono della fede, dell’amicizia con Cristo.
In verità, l’amore, l’amicizia di Dio ci è stata data perché arrivi anche agli altri. Abbiamo ricevuto la fede per donarla ad altri – siamo sacerdoti per servire altri. E dobbiamo portare un frutto che rimanga. Tutti gli uomini vogliono lasciare una traccia che rimanga. Ma che cosa rimane? Il denaro no. Anche gli edifici non rimangono; i libri nemmeno. Dopo un certo tempo, più o meno lungo, tutte queste cose scompaiono. L’unica cosa, che rimane in eterno, è l’anima umana, l’uomo creato da Dio per l’eternità. Il frutto che rimane è perciò quanto abbiamo seminato nelle anime umane – l’amore, la conoscenza; il gesto capace di toccare il cuore; la parola che apre l’anima alla gioia del Signore. Allora andiamo e preghiamo il Signore, perché ci aiuti a portare frutto, un frutto che rimane. Solo così la terra viene cambiata da valle di lacrime in giardino di Dio.
Ritorniamo infine, ancora una volta, alla lettera agli Efesini. La lettera dice – con le parole del Salmo 68 – che Cristo, ascendendo in cielo, “ha distribuito doni agli uomini” (Ef 4, 8). Il vincitore distribuisce doni. E questi doni sono apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri. Il nostro ministero è un dono di Cristo agli uomini, per costruire il suo corpo – il mondo nuovo. Viviamo il nostro ministero così, come dono di Cristo agli uomini! Ma in questa ora, soprattutto, preghiamo con insistenza il Signore, perché dopo il grande dono di Papa Giovanni Paolo II, ci doni di nuovo un pastore secondo il suo cuore, un pastore che ci guidi alla conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera gioia. Amen.
Joseph Ratzinger

(19/04/2005)


che ne pensi?



stella rossa
00martedì 19 aprile 2005 17:12
io tifo per il nostro presidente a priori....anche se la cazzata sulla dittatura del relativismo l'ho sentita ieri a pranzo e ancora ci rido su [SM=x584424]
Slobodan
00martedì 19 aprile 2005 19:37
Re:

Scritto da: Slobodan 19/04/2005 16.55

La formidabile lezione del prof. Joseph Ratzinger





e adesso son cazzi doppi,Peppino:l'hanno fatto pure Papa[SM=x584429]
Peppino Gavoni
00mercoledì 20 aprile 2005 02:15
ora leggo
un secondo solo per la risposta, sto litigando con zia Alice e i soliti problemi di connessione...[SM=x584432]
Peppino Gavoni
00mercoledì 20 aprile 2005 15:14
Eccomi
Ciao Slobo, grazie per la domanda. Il discorso di Ratzinger in effetti offre degli spunti molto interessanti per una critica.

«il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.»

Questa concezione del relativismo mi ricorda un po’ il modo in cui un profano intende la teoria della relatività di Einstein: “tutto è relativo”. Dire che è superficiale, sarebbe farvi onore.

Il relativismo non è “lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina”. Il relativismo io lo intendo semmai come un saper riconoscere e rispettare in qualsiasi vento un principio della propria dottrina.

Ma rifacciamoci pure al buon vecchio Protagora e alla sua frase-simbolo: «l’uomo è misura di tutte le cose». Trattasi – so che non serve che te lo spieghi, ma lo scrivo a beneficio di chi legge – di una concezione filosofica che considera la realtà non conoscibile in se stessa ma soltanto in relazione alle particolari condizioni in cui, volta per volta, i suoi fenomeni vengono osservati dall’uomo, e perciò non ammette verità assolute nel campo della conoscenza o principi immutabili in sede morale.

La classica domanda che ha accompagnato la frase di Protagora è sempre stata: l’uomo chi?

Beh, la risposta è molto semplice: io.

Io credo che esista una sola legge universale, ovvero la volontà (detta da Ratzinger spregiativamente “voglia”, che fa pensare ad una piaga) di sopravvivenza, che può essere bruta (la mia sopravvivenza senza riguardo per gli altri, homo homini lupus, dog eat dog, etc.) o progressivamente complessa (la sopravvivenza della specie umana, della natura, dello spirito).

Io credo che Benedetto XVI farebbe molto bene a leggere qualcosina di più dei soli libri che portano l’imprimatur, ovvero riesumare dalla biblioteca di filosofia i Ragionamenti Doppi di quel sofista anonimo (che molto probabilmente si rifaceva alle Antilogie di Protagora), o riflettere un po’ su queste parole attribuite ad Erodoto: «se si proponesse a tutti gli uomini di guardare tra le varie leggi e li si invitasse a scegliere la migliore, ognuno, dopo aver riflettuto, sceglierebbe quella del suo paese: tanto a ciascuno sembran di gran lunga migliori le proprie leggi».

Certo, mi potrai obiettare, la sofistica scade molto facilmente nell’eristica e rischia di risolversi nella pura retorica. Eppure io sono convinto passione e struttura possano convivere solo in un equilibrio extratemporale – ovvero, in un equilibrio spirituale, se vogliamo conservare l’opposizione classica tra tempo e spirito.

Temporale è la scrittura (o Scrittura) della Legge (“regina di tutte le cose”, secondo Pindaro): ti ricordi che cosa diceva re Egiziano Thamus al dio Theut, nel Fedro?

«Tu offri ai discenti l’apparenza, non la verità di sapienza; poiché quando essi, mercé tua, avranno letto tante cose senza alcun insegnamento, si crederanno in possesso di molte cognizioni, pur essendo fondamentalmente rimasti ignoranti, e saranno insopportabili agli altri perché avranno non la sapienza, ma la presunzione della sapienza»

Ecco, mi vengono in mente queste parole a guardare il discorso di Ratzinger: non contiene un briciolo di originalità o creatività, ma si riduce ad un collage di citazioni vangeliche. Di interessante c’è questo passo:

«adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. E’ quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità»

Il discorso sull’amicizia con l’Unto del Signore è parecchio complesso. Ti dico solo che questa amicizia con duplice risvolto mi sembra parecchio strana: da una parte, c’è la aufhebung (sospensione epocale) del segreto (del demonico, o del sacro), che apre le porte alla piena responsabilità; dall’altra si parla di comunione della volontà con quella del Signore, che le richiude subito.

Mi sembra una maniera di schiavizzare, più che di liberare.

E poi c’è questa parola che ricorre spessissimo: dono.

«La lettera dice – con le parole del Salmo 68 – che Cristo, ascendendo in cielo, “ha distribuito doni agli uomini” (Ef 4, 8). Il vincitore distribuisce doni. E questi doni sono apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri. Il nostro ministero è un dono di Cristo agli uomini, per costruire il suo corpo – il mondo nuovo. Viviamo il nostro ministero così, come dono di Cristo agli uomini! Ma in questa ora, soprattutto, preghiamo con insistenza il Signore, perché dopo il grande dono di Papa Giovanni Paolo II, ci doni di nuovo un pastore secondo il suo cuore, un pastore che ci guidi alla conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera gioia»

Qualche tempo fa mi hai scritto una bella frase latina che non conoscevo: in cauda venenum. Nei regali sta il veleno.

Un concetto così vero che gli anglo-sassoni lo hanno scomposto in due lingue: gift è proprio “veleno” in tedesco e “regalo” in inglese. Ora ti rimbalzo la palla: che ne pensi tu, in relazione a quanto detto da Ratzinger e all’istituzione della Chiesa Cattolica in generale?
Slobodan
00mercoledì 20 aprile 2005 17:50
Re: Eccomi

Scritto da: Peppino Gavoni 20/04/2005 15.14


«il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.»

Questa concezione del relativismo mi ricorda un po’ il modo in cui un profano intende la teoria della relatività di Einstein: “tutto è relativo”. Dire che è superficiale, sarebbe farvi onore.

Il relativismo non è “lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina”. Il relativismo io lo intendo semmai come un saper riconoscere e rispettare in qualsiasi vento un principio della propria dottrina.





Era questo il punto su cui volevo tu ponessi l'attenzione,poi sei partito per la tangente sfoggiando una vastissima canoscenza(ti meriti la citazione dantesca)anche se la citazione di Protagora cade a fagiolo in una sequela di riferimenti un po' azzardati,a mio avviso..
Mi hai dato la risposta che aspettavo,perchè io stesso riterrei superficiale(per esser cauti,chè a dire il vero potrebbe esser forzatura bella e buona)la definizione di relativismo data da Ratzinger.
Affascinante la tua idea di relativismo che però esula dalla conoscenza assoluta negata alla realtà che è l'interpretazione ortodossa del termine.
Credo che lo sbaglio di fondo nel giudicare l'antirelativismo del nuovo Papa e che induce a tante errate analisi sulla sua persona sia quello di accanirsi sulla dimensione più quotidiana,volgare,che il termine assume nelle conversazioni dei nostri giorni.
Io credo,e con questo penso di anticipare la tua domanda finale,che dobbiamo contestualizzare il discorso di Ratzinger all'interno della Spiritualità,senza fughe in avanti cui la secolarizzazione ci ha obbligato.
Ratzinger riprende SanPaolo e la barca del Cristianesimo sballottata fra ideologie e settarismi.Se poi vogliamo per forza depauperare il messaggio evangelico e scendere nella quotidianeità,quello di Ratzinger contro il relativismo lassista è un discorso che trovo ineccepibile anche applicato alle dinamiche politiche.Mi riferisco a quei "paletti" che vengono contestati come non visti(da me a te,dal Papa all'umanità,se mi si concede l'azzardato accostamento)e che sono per come li intendo io la Libertà e la Democrazia,La Giustizia ed i Diritti universali(e che dovrebebro essere incontestabili in qualsiasi coscienza,religiosa e non,individuale e pubblica)e che il peloso ed esibito relativismo(spesso di comodo)di alcuni(singoli individui come istituzioni nazionali)tende ad emarginare in nome della sublimazione del relativismo spiccio:la realpolitik.




Scritto da: Peppino Gavoni 20/04/2005 15.14

La classica domanda che ha accompagnato la frase di Protagora è sempre stata: l’uomo chi?

Beh, la risposta è molto semplice: io.





E qui,ancora,Protagora cade a pennello per dimosrare l'errore di valutazione del discorso di Ratzinger:quando si ritiene che non esistano valori di validità assoluta non si può comprendere il messaggio cattolico,che ha ben in mente quali siano e dove stiano il Vero,il Giusto,il Bene. non certo nell'io...
Tu,protagoriano convinto,ti poni su una retta culturale paralella a quella di Ratzinger(e di qualche altro milione di persone)rendendo impossibile un confronto reciprocamente viziato da un incolmabile gap di partenza.



Scritto da: Peppino Gavoni 20/04/2005 15.14
ti ricordi che cosa diceva re Egiziano Thamus al dio Theut, nel Fedro?



NO! è grave?[SM=x584443]


Scritto da: Peppino Gavoni 20/04/2005 15.14
«adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. E’ quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità»

Il discorso sull’amicizia con l’Unto del Signore è parecchio complesso. Ti dico solo che questa amicizia con duplice risvolto mi sembra parecchio strana: da una parte, c’è la aufhebung (sospensione epocale) del segreto (del demonico, o del sacro), che apre le porte alla piena responsabilità; dall’altra si parla di comunione della volontà con quella del Signore, che le richiude subito.

Mi sembra una maniera di schiavizzare, più che di liberare.

E poi c’è questa parola che ricorre spessissimo: dono.

«La lettera dice – con le parole del Salmo 68 – che Cristo, ascendendo in cielo, “ha distribuito doni agli uomini” (Ef 4, 8). Il vincitore distribuisce doni. E questi doni sono apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri. Il nostro ministero è un dono di Cristo agli uomini, per costruire il suo corpo – il mondo nuovo. Viviamo il nostro ministero così, come dono di Cristo agli uomini! Ma in questa ora, soprattutto, preghiamo con insistenza il Signore, perché dopo il grande dono di Papa Giovanni Paolo II, ci doni di nuovo un pastore secondo il suo cuore, un pastore che ci guidi alla conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera gioia»

Qualche tempo fa mi hai scritto una bella frase latina che non conoscevo: in cauda venenum. Nei regali sta il veleno.

Un concetto così vero che gli anglo-sassoni lo hanno scomposto in due lingue: gift è proprio “veleno” in tedesco e “regalo” in inglese.



Quest'analisi non fa una piega,anche se parte da un presupposto che credo errato,e cioè quello di una traduzione sbagliata,perchè la cauda andava intesa come metaforica "coda" e non come regalo,a meno che non abbia una doppia interpretazione oppure io sbagliai a citarla(ma non credo.quelle corte emle ricordo bene![SM=x584430] )


Scritto da: Peppino Gavoni 20/04/2005 15.14

il discorso di Ratzinger non contiene un briciolo di originalità o creatività


e qui c'è il grande inganno,e tutta la responsabilità della Chiesa di oggi:quella di suscitare attesa,di dovere meravigliare;la secolarizzazione cui Giovanni PaoloII non ha saputo porre un freno e che toccherà a Benedetto XVI porvi rimedio perchè il Messaggio Apostolico ha 2005 anni e per chi ha Fede ha Valore a prescindere dal contesto della comunicazione più o meno accattivante,più o meno mediaticamente valida.
Questo Papa definito Custode dell'ortodossia in te ha già raggiunto il proprio scopo,quello di proporti Cristo,non di affascinarti con evoluzioni circensi che rischiano di lasciare un enorme vuoto allo spegnimento dei fuochi artificiali!

Peppino Gavoni
00giovedì 21 aprile 2005 15:09

sei partito per la tangente sfoggiando una vastissima canoscenza(ti meriti la citazione dantesca)anche se la citazione di Protagora cade a fagiolo in una sequela di riferimenti un po' azzardati,a mio avviso..


[SM=x584425] ah Slobo, se tu fossi stato il mio relatore quando gli affidai il primo abbozzo di quella che sarebbe diventata la mia tesi... cmq dài, tra colleghi vien da fare come al circolo pescatori [SM=x584430]

Affascinante la tua idea di relativismo che però esula dalla conoscenza assoluta negata alla realtà che è l'interpretazione ortodossa del termine.


Non mi sembra che "esuli": ho detto che relativismo considera la realtà come non conoscibile in se stessa, che è praticamente lo stesso.

Ratzinger riprende SanPaolo e la barca del Cristianesimo sballottata fra ideologie e settarismi.Se poi vogliamo per forza depauperare il messaggio evangelico e scendere nella quotidianeità,quello di Ratzinger contro il relativismo lassista è un discorso che trovo ineccepibile anche applicato alle dinamiche politiche.Mi riferisco a quei "paletti" che vengono contestati come non visti(da me a te,dal Papa all'umanità,se mi si concede l'azzardato accostamento)e che sono per come li intendo io la Libertà e la Democrazia,La Giustizia ed i Diritti universali(e che dovrebebro essere incontestabili in qualsiasi coscienza,religiosa e non,individuale e pubblica)e che il peloso ed esibito relativismo(spesso di comodo)di alcuni(singoli individui come istituzioni nazionali)tende ad emarginare in nome della sublimazione del relativismo spiccio:la realpolitik.


Io capisco chi siano i destinatari della tua critica, ma in questo discorso il relativismo (che io preferisco considerare una forma di prospettivismo), si pone come una critica alla pretesa di universalità di questi termini: Democrazia Libertà ecc. Per questo citavo il Fedro di Platone dove si rimprovera al dio Theut l'aver creato uno strumento di fossilizzazione, e se vuoi un'altra citazione in merito, clicca sulla foto di Nietzsche sul sito.
Abbiamo scritto la dichiarazione dei diritti umani, dove s'è blaterato di Giustizia e di Libertà senza rendersi conto che questi sono termini che in sé non significano assolutamente NIENTE.
Esempio banale: prendi una mela e due bambini. Dividi la mela in 3/4 e 1/4, e assegna le due parti: vedrai che secondo quello che se n'è beccata di meno, questa è un'Ingiustizia.
Ma come la mettiamo se uno dei due non mangia da 7 giorni e l'altro si abbuffa di merendine fino alla più schifosa obesità infantile? Ecco dove sta l'ammonimento del relativismo: non ci sono solo i principi, ma anche le circostanze e soprattutto gli uomini.
La Libertà, poi, è ancora più indefinita, lo sappiamo molto bene entrambi senza gettarci in discussioni su Kant e Schopenhauer. Libertà di o libertà da? E siamo liberi di essere liberi?
Sono solo parole, parole scritte con la lettera maiuscola che hanno un'aria così seria, vogliono essere Verità e Principi immutabili, ma sono solo "pensieri scritti e dipinti" che danno la presunzione di sapienza.

E qui,ancora,Protagora cade a pennello per dimosrare l'errore di valutazione del discorso di Ratzinger:quando si ritiene che non esistano valori di validità assoluta non si può comprendere il messaggio cattolico,che ha ben in mente quali siano e dove stiano il Vero,il Giusto,il Bene. non certo nell'io...
Tu,protagoriano convinto,ti poni su una retta culturale paralella a quella di Ratzinger(e di qualche altro milione di persone)rendendo impossibile un confronto reciprocamente viziato da un incolmabile gap di partenza.


Non sono d'accordo.
Io semplicemente faccio notare che un gap esiste ed esisterà sempre, e ciò va rispettato. I valori di validità assoluta esistono così come esiste Dio: nell'immaginazione di ognuno di noi; e come Dio, essi sono intesi in maniera invariabilmente personalistica. Del resto non ci sarebbe né intendimento né intensione senza personalità.
Il discorso che faccio è che nel momento esatto in cui si esprime una cosa, la si volgarizza.
Questo discorso si applica bene sia a Dio che ai Valori: per esempio l'Amore esiste, ma nel momento in cui io mi distacco dal sentimento per analizzarlo alla luce della ragione, ho posto le condizioni per la morte del sentimento.
I valori si trasmettono e si intendono BEN OLTRE le parole. Questo è il mio "relativismo".

Quest'analisi non fa una piega,anche se parte da un presupposto che credo errato,e cioè quello di una traduzione sbagliata,perchè la cauda andava intesa come metaforica "coda" e non come regalo,a meno che non abbia una doppia interpretazione oppure io sbagliai a citarla(ma non credo.quelle corte emle ricordo bene! )


[SM=x584443] Dopo aver letto questa precisazione, ho cercato per cinque minuti buoni di farmi venire in mente una possibile doppia interpretazione di "cauda". I regali si fanno alla fine? La coda è un dono? Ci rinuncio, e ammetto candidamente che, avendo prestato IL Castiglioni-Mariotti alla mia sorellina, ho visto in cauda un antenato di cadeau. Il resto l'ha fatto la mia predisposizione mentale sull'argomento dono-veleno, che mi affascina da che ho letto Mauss.

e qui c'è il grande inganno,e tutta la responsabilità della Chiesa di oggi:quella di suscitare attesa,di dovere meravigliare;la secolarizzazione cui Giovanni PaoloII non ha saputo porre un freno e che toccherà a Benedetto XVI porvi rimedio perchè il Messaggio Apostolico ha 2005 anni e per chi ha Fede ha Valore a prescindere dal contesto della comunicazione più o meno accattivante,più o meno mediaticamente valida.
Questo Papa definito Custode dell'ortodossia in te ha già raggiunto il proprio scopo,quello di proporti Cristo,non di affascinarti con evoluzioni circensi che rischiano di lasciare un enorme vuoto allo spegnimento dei fuochi artificiali!


Non è una questione di contesto mediatico, è questione di istituzioni ecclesiastiche. La Chiesa è sempre stata e rimane un'istituzione profondamente "maschilista". Ora si può discutere se questo sia un bene o un male, perché tanto rimaniamo nel campo della pura speculazione. Quello che dici però solleva una questione molto importante, in effetti: perché ormai rimangono due strade e il bivio incombe.
La prima è che la Chiesa si riformi in modo da abbracciare quante più persone possibile: il che significa aprire le porte alle donne-prete, finire di considerare i gay peccatori e gli onanisti degli aspiranti Ray Charles, eccetera.
La seconda è che lo faccia in modo da restringere il più possibile la cerchia degli adepti, un po' come sta facendo l'Opus Dei. "Meglio pochi ma buoni" sarebbe il motto che ispirerebbe una tal mossa. E' il tema di un interessante libro, Il Signore del mondo, di R. Benson, che consigliai all'amico Impri ma che pare difficile da reperirsi. In poche parole, il romanzo prospetta uno scenario in cui alla religione del Cielo si è sostituita quella della Terra, al divino si è sostituito l'umano, all'amore la solidarietà. L'ateismo è diventato un dovere, i credenti sono scherniti e anche perseguitati, quando un uomo prende il potere del mondo e dichiara il Cristianesimo illegale, perché nocivo all'Uomo. Fino a quel momento, la Chiesa Romana si è ristretta nella sola Città di Roma, ha rinunciato a tutti i possedimenti fuori dalle mura della città a patto che le venisse garantita sovranità incontrastata su tutta l'Urbe, con facoltà di emettere leggi. Difatti il rinnovato stato del Vaticano è l'unico rimasto al mondo a prevedere la pena di morte - seppure questa sanzione venga applicata molto di rado, se mai.
Ti risparmio il resto, perché il libro (scritto nel 1908) è profetico in una maniera molto sinistra. Il finale poi è molto enigmatico, almeno per me.

Comunque, il punto qua è appunto questo: se il movimento da intraprendere sia di comprensione o di compressione. Tutto sembra far propendere per la seconda.
ISKRA!
00giovedì 21 aprile 2005 16:08
Bella conversazione davvero...
Faccio solo una timida intrusione...
il libro (che è reperibile in un edizione del 1997) dovrebbe chiamarsi "il PADRONE del mondo"



(lo dico anche per Impri... così magari... [SM=x584430])

Hasta Siempre... [SM=x584452]
Slobodan
00giovedì 21 aprile 2005 17:00
Re:

Scritto da: Peppino Gavoni 21/04/2005 15.09

[SM=x584425] ah Slobo, se tu fossi stato il mio relatore quando gli affidai il primo abbozzo di quella che sarebbe diventata la mia tesi... cmq dài, tra colleghi vien da fare come al circolo pescatori [SM=x584430]



Non potrei mai fare il relatore universitario,ormai la mia (de)formazione professionale è ben solidificata e sento in me tutta l'inadeguatezza(citazione ratzingeriana d'obbligo,direi!)di certi incarichi...(non ti ingannino i puntini di sospensione:sono serissimo)
Leggendoti appare lampante la freschezza intellettuale e lo sfrontato-più che giustificato-esibizionismo che ti contraddistingue a fronte di una mia tendenza a centrare celermente e di conseguenza in maniera all'apparenza meno raffinata il nocciolo della questione.
restando al circolo pescatori,confesso di conseguenza di preferire un bel cefalo di 8 etti che non la carne di un siluro da 12kg!!!


Scritto da: Peppino Gavoni 21/04/2005 15.09
Ecco dove sta l'ammonimento del relativismo: non ci sono solo i principi, ma anche le circostanze e soprattutto gli uomini.
La Libertà, poi, è ancora più indefinita, lo sappiamo molto bene entrambi senza gettarci in discussioni su Kant e Schopenhauer. Libertà di o libertà da? E siamo liberi di essere liberi?
Sono solo parole, parole scritte con la lettera maiuscola che hanno un'aria così seria, vogliono essere Verità e Principi immutabili, ma sono solo "pensieri scritti e dipinti" che danno la presunzione di sapienza.



Non vorrei aver dato l'impressione che IO sia un antirelativista a tutto tondo,ci mancherebbe.
Cercavo e cerco di esporre-deontogicamente in maniera più fedele e meno soggettiva possibile-il pensiero di Benedetto XVI.
Non son d'accordo con la tua visione nichilista esasperata che cozza con la tua nota predilezione per un Nietzsche invece "inquieto".
Il tuo è un pessimismo ingiustificato,non credo che il concetto di Libertà,pur nelle sue sfaccettature,possa nè debba esser definita tout court come una parolona seriosa e spesso autoreferenziale come vuoi dimostrare.
Io sono convintissimo che le domande che ti poni tu se le ponga anche Benedetto XVI:intendere la Libertà come "da",come "per",come "verso" è per la Chiesa più o meno nichilista di una Libertà assoluta che paradossalmente e specularmente è abusata dagli stessi relativisti?
potrebbe apparire un ossimoro,credo sia invece una grande sfida intellettuale e culturale sul piano etico quanto politico.



Scritto da: Peppino Gavoni 21/04/2005 15.09

I valori di validità assoluta esistono così come esiste Dio: nell'immaginazione di ognuno di noi; e come Dio, essi sono intesi in maniera invariabilmente personalistica. Del resto non ci sarebbe né intendimento né intensione senza personalità.



e qui il GAP in questione è evidente:Benedetto XVI parafrasando Pascal invita tutti(laici in primis)a comportarsi COME SE DIO ESISTESSE,altro che "immaginazione".
Oggi anche Gian Enrico Rusconi sulla Stampa ne prende spunto per un interessante editoriale che credo tu possa trovare online.


Scritto da: Peppino Gavoni 21/04/2005 15.09
ormai rimangono due strade e il bivio incombe.
La prima è che la Chiesa si riformi in modo da abbracciare quante più persone possibile: il che significa aprire le porte alle donne-prete, finire di considerare i gay peccatori e gli onanisti degli aspiranti Ray Charles, eccetera.
La seconda è che lo faccia in modo da restringere il più possibile la cerchia degli adepti, un po' come sta facendo l'Opus Dei. "Meglio pochi ma buoni" sarebbe il motto che ispirerebbe una tal mossa. E' il tema di un interessante libro, Il Signore del mondo, di R. Benson, che consigliai all'amico Impri ma che pare difficile da reperirsi. In poche parole, il romanzo prospetta uno scenario in cui alla religione del Cielo si è sostituita quella della Terra, al divino si è sostituito l'umano, all'amore la solidarietà. L'ateismo è diventato un dovere, i credenti sono scherniti e anche perseguitati, quando un uomo prende il potere del mondo e dichiara il Cristianesimo illegale, perché nocivo all'Uomo.



e qui sta la confusione.
Non esiste nessuna doppia possibilità.
il Messaggio del Vangelo è Unico.
Non sono mai esistiti nè mai esisteranno Papi che ne abbiano cambiato una virgola,dividere la Chiesa in conservatori e progressisti se ha senso(ma no ncredo,questa elezione ce l odimostra,come già detto altrove) non lo ha nel contesto del Messaggio.
Il libro che citi non contiene nessuna originalità:il Cristianesimo è già minoranza nel mondo,lo è sempre stato ma oggi ancor di più.
oggi più che mai esser cristiani significa contrastare l'ovvio,ciò che appare natrurale a questo mondo e che è in contrasto con Cristo.
Nella visione della Chiesa di Bendetto XVI non ho dubbio alcuno che ci sia la consapevolezza di essere all'angolo.
e chi mette all'angolo il Cristianesimo è il resto del mondo,la moltitudine di uomini che disconosce la Verità di Cristo e così facendo si pone come avversario di Cristo e di conseguenza dell'Uomo stesso.
per cui la battaglia della Chiesa odierna non può che essere contemporaneamente,usando le tue parole,di compressione E di comprensione.
il tutto nella classica visione cattolica di redenzione dell'Uomo da sè stesso(proprio "dall'io e dalle sue voglie"),per cui questo Papa non aprirà ai gay,non aprirà al sacerdozio femminile,al matrimonio dei preti,perchè andrebbe contro la sua stessa identità.
e il non capire questo è il grosso limite di chi,non cattolico o cattolico confuso,si pone sbagliando come credibile interlocutore di fatto senza esser riconosciuto come tale.


p.s.:sulla cauda...l'origine è la coda velenosa dello scorpione.
in cauda venenum si deve intendere come monito per,ad esempio,la fine("coda") di un discorso che proprio in ultimo può contenere insidie.
resta il fatto che la tua riflessione sul "dono" mi trova concorde.





Slobodan
00venerdì 22 aprile 2005 14:54
Ieri sera a Porta a Porta c'è stata un'interessante puntata dedicata a Benedetto XVI,e ad un certo punto in uno scambio di riflessioni fra Cacciari e Rumi ho rivisto proiettata questa nostra discussione,col primo intento a impostare l'attenzione dell'ultima omelia da Cardinale di Ratzinger nel campo strettamente filosofico(tentando di smontarla sul piano strutturale)e l'altro,da docente,intento a contestualizzarla,storicizzarla e a renderla agostinianamente fruibile.

ah, c'era pure Impri,nelle vesti dell'invasato Socci!!! [SM=x584429]
Peppino Gavoni
00sabato 23 aprile 2005 03:38
Re:

tentando di smontarla sul piano strutturale


Infatti la tentazione era quella, ma poi mi son detto: e chi me lo fa fare? [SM=x584427]
Solo su questo volevo commentare:

restando al circolo pescatori,confesso di conseguenza di preferire un bel cefalo di 8 etti che non la carne di un siluro da 12kg!!!


E ci credo. D'altra parte scommetto che a un tipo come Danny sarebbe piaciuta MOLTO di più la seconda (sono serio).

Il libro che citi non contiene nessuna originalità:il Cristianesimo è già minoranza nel mondo,lo è sempre stato ma oggi ancor di più.


Beh, nZomma...
Intanto il libro che cito contiene soprattutto una profezia, che io non ho capito.
E poi apprendere da te che il Cristianesimo è sempre stato una minoranza nel mondo un po' mi imbarazza... voglio dire, io ho un'impressione differente...


PS giusto ISKRA, grazie, in inglese comunque è Lord of the world.
Slobodan
00sabato 23 aprile 2005 14:30
Re: Re:

Scritto da: Peppino Gavoni 23/04/2005 3.38


Intanto il libro che cito contiene soprattutto una profezia, che io non ho capito.
E poi apprendere da te che il Cristianesimo è sempre stato una minoranza nel mondo un po' mi imbarazza... voglio dire, io ho un'impressione differente...





Non mi sbilancio sulla profezia(tra l'altro mi hai "risparmiato" il finale ma in effetti son ancora qui che attendo me lo sveli!)ma essendo del 1903 credo si possa dire che la definizione di Cristianesimo come minoranza non ha nulla di originale,non lo aveva allora e ancor di meno adesso,tutto qui-non ti offendere!

" uno scenario in cui alla religione del Cielo si è sostituita quella della Terra, al divino si è sostituito l'umano, all'amore la solidarietà. L'ateismo è diventato un dovere, i credenti sono scherniti e anche perseguitati, quando un uomo prende il potere del mondo e dichiara il Cristianesimo illegale, perché nocivo all'Uomo."
Che dire,se non che nel 1903 rivoluzione industriale e marxismo(che tra l'altro a mio avviso,con buona pace di Ratzinger,si scagliò ben prima della Chiesa contro una certa idea di modernità)lasciavano prevedere la realtà odierna,scenario apocalittico secondo quel libro e "un pochino" anche secondo me.
Ratzinger prende atto di questo:come già detto,è conscio del Cristianesimo all'angolo,è conscio che l'ovvio non sta,oggi,nel Celebrare Cristo ma nel negarlo,e su questo il suo j'accuse che ho postato come nuova firma mi trova del tutto d'accordo,al di là di una mia personalissima visione della Fede che ha più a che fare con la superstizione popolare medioevale che non con una matuar Fede nei Vangeli-ma questo è un mio personalissimo limite.
ciao.
eptadone
00martedì 26 aprile 2005 23:57
Viva Protagora
Ho letto solo in parte la vostra bella discussione.
Ebbene io qui affermo che amo Protagora proprio per
avere gettato le basi del nuovo relativismo.
Io sono relativista per quanto mi riesce, e quando
non mi riesce sbaglio (peccando di arroganza).
Il relativismo è quella cosa che mi permette di
sopportare certe manifestazioni religiose che
altrimenti paragonerei alle fole e ai giochi dei
bambini, giusto per fare un esempio.
Ma il relativismo è anche riconoscere che le nostre
conoscenze sono "funzionali e funzionanti" più che
vere, perchè sempre dipendenti da convenzioni e da
strumenti scelti arbitrariamente.
Insomma, con buona pace di Rat e sacra famiglia, il
relativismo è qualcosa di IMPRESCINDIBILE, di
necessario per uno sviluppo del pensiero che sia
maturo e consapevole.
Altrimenti non si pensa, bensì ci si inventano dogmi e
si sparano sentenze apodittiche che non hanno nessun
fondamento (cosa che la gerarchia religiosa continua a
fare oggi come nella preistoria della civiltà).

E allora lasciatemi esclamare a pieni polmoni :
Viva Protagora !!! E anche Gorgia, perdinci ! :-P
eptadone
00mercoledì 27 aprile 2005 00:03
Però
Però catturare un siluro è molto più ecologico che catturare un povero cefalo.
Anzi : catturare un siluro fa bene alla biodiversità : danno perfino degli incentivi danarosi a chi pesca lo squallido pesce cilindrico !!!....
Con quaesto che volevo dire ?....
Boh, che potresti smontare tutto Ratzinger e farebbe molto bene alla pensierodiversità o all'ecologia della mente...che dici ???
[SM=x584427]
Slobodan
00venerdì 26 maggio 2006 15:51
Re: inversione di rotta?

Scritto da: Slobodan 19/04/2005 16.55
"Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie"



«Il Pontefice così diventa un relativista»


MILANO - «Quando invita a tener conto da un lato delle circostanze in cui i cristiani hanno commesso i peccati nel passato e dall’altro a considerare assieme al male anche il bene compiuto, Benedetto XVI cade in una delle forme più radicali di relativismo». Carlo Augusto Viano, professore emerito di storia della filosofia all’università di Torino, autore tra l’altro del recente «Laici in ginocchio», il pamphlet uscito da Laterza in cui denuncia la debolezza del mondo laico davanti all’aggressività del tradizionalismo cattolico, non esita a giudicare le parole pronunciate dal papa a Varsavia come «una correzione rispetto alla linea della richiesta di perdono voluta da Giovanni Paolo II».
Perché, professore, lei ribalta su papa Ratzinger l’accusa di relativismo rivolta solitamente dai cattolici ai laici?
«Faccio un esempio facile: io mi ritengo un relativista moderato nel campo della morale sessuale, perché non considero la famiglia come l’unico ambito possibile di rapporti. Ma se dico: sono contrario all’omicidio ma comprendo le ragioni di chi ha ucciso, attuo una forma estrema di relativismo».
Non le sembra un ragionamento un po’ estremo per giudicare le parole del papa?
«Ho paura che la formula usata delle "altre circostanze" e del "bene compiuto" possa nascondere un apprezzamento positivo dei regimi di destra nella lotta contro il comunismo. Non dimentichiamo che parte della chiesa tedesca guardò positivamente alla guerra contro l’Urss. Mi colpisce poi il luogo scelto da Ratzinger per il suo discorso: un Paese di confine con l’Est, dove avvennero atroci persecuzioni contro gli ebrei. C’è ancora chi, pur condannando il nazismo, sostiene che in fondo salvò l’Europa dal comunismo».
Oltre che nel giudizio sulla storia del Novecento, ritiene che la correzione di rotta impressa da papa Ratzinger riguardi anche altri «mea culpa» voluti da Wojtyla nel Giubileo del 2000?
«Credo che la differenza con il predecessore emerga sul tema della libertà religiosa e quindi dell’Inquisizione. In questo Ratzinger non è solitario, perché la cultura cattolica, con il sostegno di studiosi come Paolo Prodi, sta rivalutando l’Inquisizione, tribunale "umano" che si occupava dell’anima degli imputati e che viene contrapposto alla durezza dei tribunali moderni, concentrati sul diritto ma poco attenti alla comprensione della personalità del reo».
Già nel 1993 Giovanni Paolo II si espresse per la riabilitazione di Galileo e quindi della libertà di ricerca. Crede che anche in questo ci sia un’inversione di rotta?
«In realtà a papa Wojtyla di Galileo non importava molto, perché si occupava di fisica. A lui premevano molto le scienze biologiche, che hanno a che fare con la sessualità e quindi con la famiglia. Invece papa Ratzinger mira a rivalutare la tradizione contro tutta la grande corrente di pensiero europeo che culminò nell’Illuminismo, accusato di aver fatto maggiori danni di qualunque errore cattolico. In questo atteggiamento generale si vede la differenza fra il tradizionalista Benedetto XVI, che guarda al passato, e l’innovatore Giovanni Paolo II, papa profetico proiettato verso il futuro».
Una delle richieste di perdono del Giubileo riguardava le Crociate, tema che dal Medioevo ci porta all’oggi e al dialogo con il mondo islamico.
«Mentre la preoccupazione di Wojtyla era di rivendicare la libertà religiosa nei Paesi dittatoriali dell’Est, Ratzinger si muove in un clima in cui le religioni dividono i popoli, sono strumento di mobilitazione più che di dialogo. Se nel Novecento i popoli arabi aderivano alle grandi ideologie, adesso si identificano con l’Islam. Parallelamente anche in Occidente la religione ha preso il posto delle ideologie: la solidarietà comunitaria che esprime valori conta più dell’individuo in grado di fare liberamente le proprie scelte. Ciò mi porta a concludere da laico che le religioni interpretate in questo senso sono pericolose quanto le ideologie».

Dino Messina
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