Fascisti islamici?

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ISKRA!
00domenica 13 agosto 2006 03:57
Fascisti islamici


Nel linguaggio corrente la parola «fascista» ha perduto il suo senso originario e significa semplicemente violento, intollerante, se non addirittura mascalzone. Molti di coloro che se ne servono hanno del fascismo un'idea vaga e sanno soltanto che è un insulto, quindi buono per aggredire verbalmente un uomo politico. Ma quando il presidente degli Stati Uniti dice che il suo Paese è in guerra con i «fascisti islamici», anche se le sue dichiarazioni improvvisate sono spesso imprecise, dobbiamo supporre che sappia di che cosa parla. George W. Bush, d'altro canto, non è il primo che si serve dell'espressione. Qualche intellettuale della sinistra liberale americana ha parlato recentemente di «totalitarismo musulmano», e il ministro degli Interni britannico John Reid, poco prima dei falliti attentati di Londra, ha messo in guardia i suoi interlocutori contro la minaccia di «coloro che potrebbero essere definiti fascisti». Esiste quindi un fascismo islamico? E, se esiste, quali sono i suoi ideologi, i suoi maggiori esponenti, i suoi partiti politici?
Il sospetto nacque quando i diplomatici e i servizi d'intelligence europei riferirono ai loro governi, negli anni Trenta, che i regimi fascisti suscitavano interesse e simpatia fra gli intellettuali e i militari di alcuni Paesi musulmani. Uno dei primi ad accorgersene e a ritenere che quella simpatia potesse diventare un'utile carta politica fu Mussolini. Da quel momento il regime cominciò a lanciare segnali di amicizia verso il nazionalismo antibritannico e antifrancese dell'Africa settentrionale e del Levante, con una particolare attenzione alla Palestina. Fu creata una stazione radiofonica (Radio Bari) che trasmetteva in arabo. Furono stabiliti contatti con Habib Bourguiba, fondatore del movimento nazionalista tunisino Neo Destur, erede di un precedente Destur (la parola significa indifferentemente libertà o costituzione), più moderato e conciliante. Quando Mussolini andò in Libia nel 1937, il governatore della colonia, Italo Balbo, mise in scena per lui una straordinaria accoglienza nella radura di Bugara, non lontano da Tripoli, dove 2000 cavalieri lo salutarono con inni di guerra e rulli di tamburo. Un cavaliere, Iussuf Kerbisc, si staccò dal gruppo e offrì a Mussolini una spada in oro massiccio intarsiato. «Vibrano accanto ai nostri animi in questo momento - gli disse - quelli dei musulmani di tutte le sponde del Mediterraneo che, pieni di ammirazione e di speranza, vedono in te il grande uomo di Stato, che guida con mano ferma il nostro destino». I contatti con il nazionalismo arabo divennero ancora più intensi durante la guerra, quando Italia e Germania sperarono di suscitare alle spalle dell'Impero britannico una rivolta araba simile a quella che T. E. Lawrence e Feisal, figlio dello sceriffo hascemita della Mecca, avevano guidato contro l'Impero ottomano nel 1916. Le principali pedine di questa politica furono un uomo di Stato iracheno, Rashid Alì Al Gaylani, e il Gran Muftì di Gerusalemme, Amin Al Husseini.
Come racconta Manfredo Martelli nel suo libro su «I nazionalisti arabi e la politica di Mussolini» (Edizioni Settimo Sigillo, 2003), il primo conquistò il potere a Bagdad con un colpo di Stato, agli inizi del 1941, entrò in guerra con la Gran Bretagna ed ebbe qualche modesto aiuto dall'aviazione dell'Asse sino alla fine di maggio, quando gli inglesi entrarono a Bagdad e lo costrinsero a riparare in Iran. Fuggì con lui anche il Muftì di Gerusalemme che dall'Iran, dove riuscì a evitare l'arresto della polizia, passò in Turchia, (racconta Martelli) con un passaporto italiano, i capelli tinti e la barba tagliata. Quando arrivò finalmente a Roma, il 10 ottobre 1941, fu ricevuto da Mussolini alla presenza di Galeazzo Ciano. La conversazione si svolse in francese e Mussolini disse che era pronto a fare ogni sforzo per aiutare gli arabi «politicamente e spiritualmente». Parlarono anche delle aspirazioni ebraiche in Palestina e il leader del fascismo (che negli anni Trenta, per un certo periodo, aveva sostenuto contro la Gran Bretagna il movimento sionista) lo tranquillizzò: «Se gli ebrei vogliono un loro Stato dovranno stabilire Tel Aviv in America. Sono nostri nemici e non ci sarà posto in Europa per loro». Da Roma il Muftì andò a Berlino dove rimase sino alla fine della guerra. Ma fece anche un viaggio in Bosnia per esortare i musulmani della regione a collaborare con l'Asse e permise in tal modo ai tedeschi di costituire la divisione Handzar, composta da SS che portavano, come segno distintivo, un fez rosso.

Al Gaylani e Al Husseini non furono i soli amici dell'Asse in Medio Oriente. Alla fine del 1941, mentre l'Afrika Korps avanzava verso Alessandria, un gruppo di ufficiali egiziani raccoglieva informazioni per lo stato maggiore di Rommel sui movimenti delle truppe britanniche. Uno dei loro capi era Anwar Al Sadat che divenne presidente della Repubblica egiziana dopo la morte di Nasser. Alcuni di essi attraversarono le linee per raggiungere le truppe dell'Asse e riapparvero a fianco di Nasser nella rivoluzione del 1952. Jean Lacouture, biografo del rais, racconta che in quei giorni, mentre i tedeschi e gli italiani combattevano a El Alamein, vi furono manifestazioni al Cairo e ad Alessandria. La folla inneggiava a Rommel e invocava Mussolini storpiandone il nome: lo chiamavano Mussa Nili, Mosé del Nilo.

Ma nessuno di questi personaggi può essere definito fascista. Erano nazionalisti e chiedevano aiuto agli avversari della Gran Bretagna perché «i nemici dei miei nemici sono miei amici». È certamente vero che i regimi nazionali e sociali, creati in alcuni Paesi europei negli anni Venti e Trenta, parvero a molti leader arabi e musulmani, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, particolarmente adatti alle loro esigenze. L'autorità indiscussa del leader, il partito unico, il ruolo delle forze armate e della burocrazia, l'uso spregiudicato della polizia e dei servizi segreti, il controllo della società e della stampa parvero ingredienti utili per Stati nascenti dove le masse erano in buona parte analfabete e l'albero della democrazia parlamentare stentava a crescere. Ma non tutti i regimi autoritari possono considerarsi fascisti o comunisti.

Il più simile al fascismo, tra i gruppi politici sorti in Medio Oriente durante il Novecento, fu un movimento creato in Siria nel 1940. Il suo fondatore, Michel Aflaq, era siriano e cristiano. Aveva studiato alla Sorbona negli anni Trenta, aveva assistito alle battaglie politiche fra destra e sinistra nelle strade di Parigi, aveva inghiottito un inebriante cocktail di letteratura politica europea da Mazzini a Lenin, era anticolonialista, panarabista, fiero del grande passato arabo, ma risolutamente laico e socialista. Tornato in patria fondò il partito Baath (in arabo: risorgimento, rinascimento), e uno dei suoi primi gesti fu l'adesione alla rivolta di Al Gaylani contro la Gran Bretagna nel 1941. Morì nel 1989, probabilmente a Bagdad, ospite di un uomo che lo aveva molto ammirato e si era ispirato al suo insegnamento per organizzare lo Stato iracheno. Quell'uomo era Saddam Hussein.

«È lui che ha creato il partito - disse a un intervistatore nel 1980 - come posso dimenticare ciò che Michel Aflaq ha fatto per me? Se non fosse stato per lui non sarei a questo posto». L'Iraq fu quindi il più fascista dei regimi medio-orientali degli ultimi decenni. Saddam si servì del partito unico per militarizzare la società, instaurò un culto del leader che era modellato su quello del Duce e del Führer, mise la burocrazia in uniforme, affidò la sua fama alla costruzione di grandi opere pubbliche, fu al tempo stesso nazionalista e, a modo suo, socialista. Fu questo il fascismo del mondo arabo. Mi sarebbe molto più difficile, invece, trovare tracce di fascismo nei movimenti politici di ispirazione religiosa, dalla Fratellanza musulmana a quelli che sono nati dopo la rivoluzione iraniana, l'invasione israeliana del Libano nel 1982 e la prima Guerra del Golfo nel 1991. Fra il Baath e il fanatismo religioso, anche quando si alleano contro un nemico comune, vi è un incolmabile fossato. A differenza dei suoi predecessori, Bush sembra avere dimenticato che il maggiore nemico dell'Iran di Khomeini fu l'Iraq di Saddam Hussein, e che nella lunga guerra fra i due Paesi, dal 1980 al 1988, gli Stati Uniti furono dalla parte dei fascisti contro gli islamisti.


Sergio Romano
protocollodizion
00domenica 19 novembre 2006 21:01
palle palle
dire che gli islamici sono o furono fascisti e la piu falsa cosa che si puo dire, tutti sanno che gli islamici combattero contro mussolini in libia e ethiopia per anni e anni, forse fascisti sono gli israeliani che non lasciano tornare i palestinesi alle loro case.
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