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Slobodan
00giovedì 8 dicembre 2005 17:07
Il Cile dei paradossi apatico al voto

Domenica si terranno nel paese andino le prime elezioni senza la figura opprimente di Pinochet, ridotto a un paria. Grandi discorsi sull'uguaglianza, ma nessuna disponibilità da parte dei candidati a rivedere la ricetta liberista. Favorita dai sondaggi la socialista Michelle Bachelet



Forse qualcuno ricorderà il Comma 22, il paradosso contro cui andavano a sbattere i piloti dei bombardieri americani nella seconda guerra mondiale di cui parlava il romanzo di Joseph Heller, e poi un film famoso di Mike Nichols: chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo. Da allora il Comma 22 viene spesso citato per cercare di spiegare le situazioni apparentemente più paradossali. Di certo il Comma 22 si attaglia benissimo al Cile, che domenica andrà alle urne per eleggere il quarto presidente della repubblica dalla fine della dittatura di Pinochet. Dopo i democristiani Patricio Aylwin nell'89 e Eduardo Frei nel '93, l'11 dicembre si sceglierà il successore del socialista Ricardo Lagos, eletto nel '99.

D'altra parte qui siamo in Cile, il paese della «loca» geografia, un pazzesco sfilatino stretto fra la Cordigliera e il Pacifico, lungo 4500 chilometri e largo in media non più di 140, che va dal deserto arido di Atacama, «il deserto dei deserti» all'estremo nord, fino ai ghiacciai andini dell'estremo sud che precipitano in mare prima di quel mondo alla fine del mondo di cui narra Luis Sepúlveda dai nomi mitici e inquietanti - anche se divenuti ormai meta facile del turismo di massa che forse non ha neppure letto Chatwin e Coloane-: lo stretto di Magellano, la Terra del Fuoco, Capo Horn...

Il Comma 22 cileno non riguarda però (solo) la «loca» geografia quanto il dibattito politico, peraltro seguito piuttosto distrattamente dalla «gente», su cui ruota la campagna elettorale. Almeno di tre dei suoi quattro candidati presidenziali.



I difetti della «success story»

Il passo iniziale del programma di Michelle Bachelet (che qui chiamano Micelle Bacelet), la candidata socialista della coalizione di centro-sinistra al potere dall'89 e la favorita nei sondaggi, dice che «la diseguaglianza è il principale scoglio a cui ci troviamo di fronte per fare del Cile un paese sviluppato». E su questo giurano di essere d'accordo anche gli altri due candidati principali, Joaquín Lavín, il pinochettista della destra dura riciclato (perché ormai Pinochet è un lebbroso e chi lo tocca sa di morire), e Sebastián Piñera, l'anti-pinochettista (si fa per dire) della destra «moderna», quella all'americana (infatti è multimiliardario e uno degli uomini più ricchi del paese) o... all'italiana (infatti è stato etichettato come «il Berlusconi cileno»). E naturalmente è d'accordo anche il quarto candidato, l'«umanista» Tomás Hirsch, che si presenta come portabandiera dei comunisti (ma tanto lui, nonostante il notevole appeal personale e la consistente presenza nei sondaggi, non ha chances di vittoria).

Quindi tutti sono d'accordo che le «scandalose» diseguaglianze sociali - parole del vescovo di Rancagua, monsignor Alejandro Goic, presidente di una Conferenza episcopale cilena iper-conservatrice e papista - sono la palla al piede di una «success story» quale viene presentata quella del Cile transitato morbidamente (e, almeno finora, quasi impunemente) dalla dittatura alla democrazia e dei tre governi cileni della Concertación por la Democracia al potere da 16 anni filati. Ma qui tutti o quasi, ad eccezione di Hirsch (che però è fuori), sembrano dimenticare che quelle diseguaglianze ed esclusioni sono figlie legittime e non bastarde del modello economico di mercato - assurto sul proscenio latino-americano e mondiale a «modello cileno» - imposto a ferro e fuoco dal generale Pinochet e dai suoi Chicago boys nei 17 anni di regime, prima della signora Thatcher e del presidente Reagan. E tutti o quasi, ad eccezione di Hirsh (che però è fuori), dicono e giurano che «il modello cileno», con tutti i suoi successi di quegli e di questi anni, non si tocca. Vinca la destra o vinca il centro-sinistra, al massimo si ri-tocca.

Fra i tanti richiami al Comma 22 nell'ultimo quarto di secolo, il Comma 22 cileno è uno dei più inoppugnabili.

Dopo 16 anni di democrazia liberata dall'assillo del nemico alle porte (delle caserme) e di solida economia di mercato, il Cile è molto cambiato. Anche se di Cile, come di altri paesi dell'America latina ma non solo, ne restano due, separati e divisi da abissi sempre più profondi. Qui non c'è alle viste un leader «populista» - la peggior bestemmia in tempi di neo-liberismo - che metta a rischio la stabilità del «modello» e Hugo Chávez, con il suo «socialismo del secolo XXI» è detestato quasi quanto è ammirato, non solo in Cile, Ricardo Lagos, anche lui un socialista del secolo XXI ma di stampo molto diverso. Diverso, nel bene e nel male, non solo dal bolivariano Chávez ma anche dal cileno Allende.

Il generale Augusto Pinochet, che nelle elezioni del '99, quando Lagos sconfisse Lavín al ballottaggio e neanche di molto (51.3% contro 48.7), era ancora una «presenza», se non altro perché era «prigioniero» a Londra e l'establishment politico cileno al completo - con le eccezioni dei comunisti e dei familiari delle vittime - ne reclamava a gran voce la restituzione, ormai non è più un «fattore». È solo un residuato bellico che si finge demente per non finire sotto processo. Qualche giorno fa, il 25 novembre, quando ha compiuto 90 anni, solo quattro gatti di combattenti e reduci sono andati a rendergli omaggio sotto le finestre della sua residenza alla Dehesa (una delle tante), sui primi contrafforti andini nel nord di Santiago. I giornali che lo avevano glorificato per avere «salvato il Cile dal marxismo» e avere gettato le basi del «modello economico cileno», a cominciare dal Mercurio, non gli dedicano più che qualche articolo nelle pagine interne, e in genere per scrivere di quanto fosse carogna quando ammazzava la gente e, anzi soprattutto, quando rubava i soldi dello stato. Assodato che fosse un assassino e un ladro, ora il dibattito è se quando morirà - sono molti ma non tutti a sperare che prima sarà meglio sarà - dovrà avere funerali di stato in quanto ex presidente o privati in quanto delinquente comune.



Il pupillo di George W. Bush

Quelle di domenica prossima saranno le prime elezioni «de-pinochetizzate» nella storia recente del Cile, ma non solo. Anche nell'immaginario popolare la figura del generale, duro ma puro, è finita nella spazzatura della storia. All'entrata del Mercado general, dietro la Plaza de Armas e davanti al fiume Mapocho, fra i banchi di pesce e mariscos del Pacifico e fra i tavoli affollati delle marisquerias, c'è una targa che ricorda la ristrutturazione e l'inaugurazione del mercato, nell'84, alla presenza di sua eccellenza «il presidente della repubblica, generale Augusto Pinochet Ugarte» e di tutta la solita sfilza di autorità a scendere. Le autorità sono rimaste ma la riga con il nome di Pinochet è stata cancellata a mano («è un assassino, è l'oppressore del popolo cileno», fa un pescivendolo)

L'economia, intesa nel senso di macro-economia che è poi quello che sembra l'unico a interessare per sancire il successo o il fallimento di un modello, nei 16 anni della Concertación è andata tutto sommato bene: le statistiche dicono che la crescita annuale è stata intorno a un 6% di media contro un 2.4% dei 17 anni della dittatura che sfata miti e leggende. Dicono anche la povertà è stata ridotta della metà: dal 40% della popolazione nel '90 a meno del 20% di oggi. Bene, eccetto che per l'esclusione sociale (e politica: i comunisti, i mapuches e le altre minoranze indigene...), la forte disoccupazione, le diseguaglianze «scandalose» nella distribuzione della torta, l'istruzione nelle scuole pubbliche (l'altro giorno El Mercurio annunciava, non si capiva se con rincrescimento o con giubilo, che per la prima volta nella storia cilena le scuole private nel 2004 hanno superato quelle pubbliche), la sanità che se non è privata fa schifo, le famose pensioni privatizzate per cui il Cile ha fatto scuola nel mondo e di cui George Bush, ricevendo Lagos alla Casa bianca un anno fa, aveva detto che «il Cile è un grande esempio per gli altri». Il Cile è anche l'unico paese a essere uscito quasi indenne dalle drammatiche crisi del modello neo-liberista che hanno devastato l'America latina alla fine del secolo scorso, dall'Argentina al Brasile, dalla Bolivia al Perù, dall'Ecuador all'Uruguay. Il Cile, come premio per il miglior alunno del Fondo monetario, ha stretto trattati di libero commercio con gli Stati uniti, con l'Unione europea e con la Corea del sud, ha appena firmato quello con la Cina e si appresta a firmare con il Giappone. Il rame, l'oro rosso cileno, i cui prezzi dal 2000 sono schizzati alle stelle - dai 70 centesimi di dollaro la libbra nel 2000 ai 2 dollari e 6 centesimi di quale giorno fa alla Borsa metalli di Londra - hanno avuto la stessa funzione di salvagente e di volano dell'oro nero di Chávez. Lagos è stato fortunato e bravo a gestire quella manna piovuta dalla terra. Solo che il fiammeggiante caudillo venezuelano ha usato i colossali profitti del petrolio per portare la spesa pubblica oltre il 36% del prodotto interno lordo mentre il prudente socialista cileno l'ha tenuta ferma a un rachitico 14%.

Dice Ricardo Ffrench Davis, Premio Nacional de Humanidades y Ciencias Sociales: «È chiaro che le diseguaglianze non si correggeranno se non si correggerà il modello. Altrimenti è impossibile». E gli fa eco Manuel Riesco, direttore del Centro de Estudios Nacionales de Desarrollo Alternativo: «Credo che se non ci sono cambi nel modello economico ci si possa aspettare reazioni estreme. Come in Francia».



I residui del pinochettismo

La disintegrazione della figura di Pinochet e l'economia che tira, più qualche programma statale di sostegno - come Chile Solidario - che ha fatto cadere qualche briciola di sopravvivenza hanno reso opaco il Cile, hanno spento gli entusiasmi sollevati da un cambio politico che c'è stato - e grande, per carità, sia pure lento - e da un cambio economico che non c'è stato - salvo qualche spruzzo sociale. Pinochet è «morto» ma il pinochettismo è vivo.

Questo spiega forse il perché di una atmosfera elettorale che a un occhio esterno sembra piuttosto apatica e fredda, come l'estate australe che dovrebbe essere già cominciata e invece ancora non si sente. Uno, venendo da fuori, si aspetta di trovare un fermento elettrizzato che non si vede. I candidati sono in giro per comizi e si muovono freneticamente per la loca geografia del paese in elicotteri o aerei affittati, eccetto Piñera che usa i suoi aerei - oltre che di un canale televisivo è il padrone anche della Lan Chile, la principale compagnia di aviazione civile - e Hirsch che si sposta a bordo di voli commerciali della...Lan Chile. Ma i militanti dove sono? Dov'è la mobilitazione popolare?

I seguaci di Lavín e Piñera fanno un po' di campagna oltre la Plaza Italia, nei barrios ricchi di Providencia, Las Condes, La Reina. In centro fra la Moneda e la Plaza de Armas , l'Alameda e il Mapocho, nei tradizionali paseos pedonali di Ahumada e Estado qualche generoso banchetto che vende o regala poster, cappellini e badges di Micelle Bacelet o di Tomás Hirsch (ed è curioso che Allende lo si trovi sui banchi dei comunisti e non su quelli dei socialisti) si contende gli spazi e l'ascolto, fra la folla già impegnata nella sarabanda natalizia e le note di Stille Nacht Heilige Nacht che escono dai negozi imbanditi, con i gruppi folcloristici che ballano la cuenca, le bande di musica andina, qualche solitario cantante di tango dai capelli tinti e impomatati, i trovatori che si cimentano nel Gracias a la vida di Violeta Parra o nel Te recuerdo Amanda di Víctor Jara, i mimi e i pagliacci, i complessi di rock evangelico che sbraitano le lodi del Signore e anche qui fanno proseliti e danni.

Molto tempo fa, vent'anni e più, in queste stesse strade correva altra gente e suonava altra musica. Erano quelli che cercavano scampo o notizie dei familiari nella Vícaria de la Solidaridad che il cardinale Silva Henríquez aveva aperto a fianco della cattedrale nella Plaza de Armas; erano quelli che nel paseo de Ahumada improvvisamente levavano il grido «se va a caer, se va a caer, se va a caer el asesino Pinochet» inseguiti e picchiati dai carabineros; erano quelli che sfilavano per la Alameda nelle giornate nazionali di protesta sfidando le botte, i getti d'acqua o peggio.



I due peccati capitali

Altri tempi. Per fortuna passati. El asesino Pinochet è finito, male anche se non così male com'era giusto finisse. La democrazia, ora, è quasi piena. Resta da vedere se la socialista Micelle Bacelet, che salvo clamorose sorprese ed errori dei sondaggi sarà la prossima presidente della repubblica, già domenica o più probabilmente dopo il ballottaggio di gennaio con uno dei due candidati della destra, con il suo «essere donna» - la prima in un paese ancora estremamente machista -, figlia di un generale dell'aviazione ucciso per essere restato leale ad Allende, lei stessa passata per la prigione e la tortura dopo il golpe, saprà emendare i due peccati capitali del Cile. Il peccato politico di non aver saputo mandare sotto processo Pinochet, il peccato sociale di non aver saputo cancellare le «scandalose» diseguaglianze ereditate dal pinochettismo.

MAURIZIO MATTEUZZI
INVIATO A SANTIAGO DEL CILE
(Il Manifesto,07-12-2005)



























Slobodan
00mercoledì 14 dicembre 2005 15:50
Un ballottaggio tutto da giocare
Bachelet vince ma la strada resta difficile. Fuori le sinistre
Confermate tutte le previsioni: i cileni hanno votato senza passione. Riunificare la destra sarà più complicato che recuperare i voti dispersi a sinistra

SANTIAGO DEL CILE
Senza sorprese e senza passione, il Cile ha votato domenica e forse con un po' più di passione andrà di nuovo a votare il 15 gennaio per scegliere chi fra la socialista Michelle Bachelet e il liberal-liberista Sebastián Piñera sarà il presidente della repubblica per i prossimi 4 anni. In effetti il voto di domenica ha confermato in buona misura le previsioni e i sondaggi della vigilia. Confermate la vittoria di Michelle Bachelet, candidata della Concertación por la Democracia (45,9%) e la necessità di andare a un secondo turno. Confermato il sorpasso del miliardario Piñera (25,4%), che qui in molti etichettano come un Berlusconi cileno per la rapidità e l'oscurità della sua fortuna, sull'altro gallo nel pollaio della destra, Joaquin Lavín (23,2%), pinochettista doc riciclato perché ora è meglio stare alla larga da Pinochet (che non ha potuto votare in quanto sotto processo e agli arresti domiciliari). Confermata l'esclusione anche dal prossimo parlamento della sinistra (comunisti e affini) per via del perfetto funzionamento di quell'obbrobrio ereditato dalla dittatura che è il sistema elettorale binominale: se il candidato della coalizione Juntos Podemos, l'«umanista» Tomás Hirsh (5,4%), è rimasto un po' sotto ai sondaggi che gli davano il 7% e che lui considerava «un trionfo storico», e molto al di sotto di quello che in molti speravano (un risultato «in doppia cifra»), nel voto per deputati e senatori i candidati di Juntos Podemos hanno avuto un 7,4% che non è da buttar via ma che non è servito a mandare - per la prima volta dal '90 - un deputato o un senatore comunista al Congresso di Valparaíso. La Dc ha ceduto voti ai richiami della sirena Piñera (figlio e fratello di democristiani) e perso seggi sia al senato sia alla camera in favore della componente che qui chiamano l'«ala sinistra» della Concertación: il Partito socialista, il Partito radical-socialdemocratico e soprattutto quello strano Ppd, Partido por la Democracia, di stampo vagamente liberal-socialdemocratico, rifugio di molti ex Pc ed ex Mir desiderosi di fare carriera, che in pratica non è altro che un capace collettore di voti al momento delle elezioni. A destra, la Alianza por Chile, i duri della Unión Democrata Independiente di Lavín e i morbidi - o i furbi - di Renovación Nacional di Piñera, già disfatta dalla doppia candidatura contrapposta, ha visto il ridimensionamento dell'Udi (che però resta il primo partito cileno) e l'avanzata di Rn.

Però dal voto di domenica una novità chiara è emersa. Per la prima volta la Concertación ha la maggioranza assoluta nei voti (51,7%) e nei seggi sia alla camera sia al senato. Come ha detto domenica sera a caldo Michelle Bachelet, questo risultato «ci permetterà di fare molti cambiamenti che non abbiamo potuto fare perché non avevamo la maggioranza in parlamento».

Ovviamente non è vero. I cambiamenti si potevano fare anche prima: ma Bachelet dovrà per forza di cose spingersi un po' più a sinistra in questo mese che manca e che si annuncia rovente non solo per via del clima. Prima di tutto perché a questo punto quel 5% dei voti della sinistra diventano essenziali per vincere. Ieri i giornali, tutti di destra, rilevano con enfasi che per la prima volta le due destre insieme hanno più del 45,9% della Bachelet. Non sarà una passeggiata, anche se i sondaggi pre-elettorali davano la Bachelet vittoriosa su Piñera al ballottaggio per 50 a 35%. E' probabile che i comunisti finiscano per scegliere ancora una volta il male minore.

Maurizio Matteuzzi
IlManifesto





La socialista Bachelet a un passo dalla Moneda

Voto in Cile, in vantaggio l' ex perseguitata politica Passa al secondo turno anche l' imprenditore miliardario Piñera
Sarebbe la prima donna presidente del Sud America. Ballottaggio a gennaio

SANTIAGO - Un Cile solido, in crescita costante da quindici anni ed estraneo alle turbolenze che agitano i Paesi vicini, si avvia a eleggere il primo presidente donna dell' America del Sud. Michelle Bachelet, 54 anni, socialista, ha vinto con largo margine le elezioni presidenziali di ieri, ma dovrà affrontare un secondo turno, tra un mese. Il suo avversario sarà Sebastián Piñera, uno dei due candidati del centrodestra. Le prime proiezioni dopo la chiusura delle urne vedono la Bachelet intorno al 46%, mentre Piñera supererebbe di poco Joaquín Lavín, l' ex sindaco di Santiago che già perse nel ' 99. Al quarto posto, distanziato, il candidato dell' estrema sinistra Tomas Hirsch. E' un risultato assai vicino ai sondaggi delle ultime settimane. Il sogno della Bachelet di passare al primo turno si ferma davanti al recupero dei suoi avversari, ma i numeri confermano l' imminenza della svolta. Punta su di lei il Paese dove la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro è la più bassa dell' America Latina e le differenze salariali sono le più alte. Dove le donne soffrono discriminazioni e violenze domestiche a un livello inaccettabile per il grado di sviluppo raggiunto. Ma allo stesso tempo è un Cile che decide di non cambiare strada. Dalla fine della dittatura militare, nel 1989, ha governato sempre la coalizione di centrosinistra Concertación, che ha assicurato al Cile i più alti tassi di crescita dell' America Latina e una sensibile diminuzione della povertà. La Bachelet dovrebbe succedere al più popolare di tutti i presidenti democratici, Ricardo Lagos, anch' egli socialista, che lascia con un consenso del 70% e un grande prestigio internazionale. Al pari di Lagos, che sfidò Pinochet in tv in piena dittatura e poi vinse la presidenza mentre il generale era detenuto a Londra, anche la storia di Michelle Bachelet nasce negli anni più tragici del Cile. Il padre, generale dell' aeronautica, morì in prigione a causa delle torture. Lei e la madre finirono in un centro di detenzione, percosse, umiliate e poi costrette all' esilio. Ma la candidata del centrosinistra non ha impostato la sua campagna su un passato che in Cile ormai interessa a pochi, con il novantenne Pinochet inseguito dai magistrati e agli arresti domiciliari. Ha preferito apparire in manifesti a fianco di gente comune e lo slogan «Sto con te», senza atteggiamenti da vittima o da eroina. Non s' è vergognata, lei atea e separata, di proporsi leader di un Paese profondamente cattolico e conservatore nei costumi, dove il divorzio è legalizzato solo da due anni. Il Cile le ha perdonato lo scarso appeal televisivo nei dibattiti elettorali, preferendo ricordare l' immagine dal significato più forte: la Bachelet ministro della Difesa, in uniforme, che dà ordini ai militari dalla torretta di un blindato. Era stato Lagos a decidere simbolicamente di mettere al comando delle Forze armate l' ex detenuta politica, poi medico pediatra, spianandole così la strada verso la successione. Esce premiato dalla urne anche Sebastián Piñera, che sfiderà Michelle Bachelet al ballottaggio. Miliardario, imprenditore di successo, simpatico e accattivante, ha investito nella campagna elettorale ingenti risorse di tasca sua, riuscendo a spezzare il centrodestra e a sopravanzare Joaquín Lavín come leader dell' opposizione. Piñera ha raccolto i consensi delle classi emergenti in Cile, beneficiate dal boom economico, più attente al portafogli che ai princìpi, e attratte dalla sua parabola personale. Con la formula consolidata del businessman prestato alla politica ha promesso 100.000 posti di lavoro in tre mesi e poi detto di voler risolvere al più presto i conflitti di interesse (è il maggior azionista della compagnia aerea Lan, di un network tv e di varie finanziarie). Per intercettare i voti delle donne, ha lanciato l' idea di uno stipendio alle casalinghe, puntando anche sugli squilibri sociali. Il Cile quest' anno crescerà di un altro 6%, ma la disoccupazione resta alta e il boom non ha ridotto in modo significativo la cattiva distribuzione del reddito. Piñera è stato anche abile a intercettare voti conservatori in libera uscita dopo le rivelazioni sugli ingenti capitali segreti di Pinochet all' estero. A differenza di Lavín, difatti, l' imprenditore del partito Renovación Nacional non ha avuto bisogno di rifarsi una verginità. Ai tempi della dittatura non faceva politica. Rocco Cotroneo famiglia Michelle è nata 54 anni fa da Angela Jeria e da Alberto Bachelet (foto), generale d' aviazione e collaboratore del presidente Salvador Allende. Dopo il golpe di Pinochet (1973), il padre fu catturato: morì in seguito alle torture. Michelle e la madre furono internate in centri di reclusione della Dina, la polizia segreta di Pinochet. Liberate un anno dopo, fuggirono in Australia e poi in Germania dell' Est, dove Michelle portò avanti i suoi studi di medicina e si sposò. Tornò in Cile nel 1979
Cotroneo Rocco
Corriere della Sera




http://www.michellebachelet.cl/m_bachelet/grafica/ambientes/0/Himno%20Oficial.mp3


Modificato da Slobodan 14/12/2005 15.54
Slobodan
00giovedì 15 dicembre 2005 02:13
Andare alle urne, votare, eleggere: bellissimi verbi
LUIS SEPLVEDA

Domenica 11 dicembre, nella zona antartica cilena, c'erano 12 sotto zero, abbastanza per definire calda l'estate australe, come spiegava un comandante di marina riferendo che i quarantotto cittadini di quel territorio bianco, sei donne e quarantadue uomini, avevano esercitato di buon'ora il loro diritto ad andare alle urne, votare ed eleggere il futuro presidente o la futura presidente del Cile, un diritto che molti di noi non hanno, perch fummo privati della nostra nazionalit dalla dittatura o, pi semplicemente, perch viviamo nel vasto mondo e per la legge cilena vota solo chi vive in patria. Ma anche cos, come cileno senza diritti, seguo il giorno delle elezioni dalla Spagna, incollato a internet, ascoltando le voci dei giornalisti di Radio Cooperativa, la radio amica che tanto ci ha tenuto compagnia negli anni neri della dittatura. Fa freddo a Gijn, eppure il caldo di Santiago filtra dalle voci delle amiche e degli amici della radio, la mia compagna e io commentiamo le notizie e speriamo in una vittoria di Michelle Bachelet, pur sapendo che con il cosiddetto centrosinistra non arriveranno grandi cambiamenti, perch in politica il centro un eufemismo per coprire la mancanza di coraggio al momento di mettere in pratica principi essenziali.

A Copiap, molto a nord, qualcuno ha fornito i risultati del primo seggio: Sebastin Piera 23 voti, Toms Hirsch 10 voti, Joaqun Lavn 21 voti, Michelle Bachelet 57 voti. Non poteva essere altrimenti, Copiap una regione di minatori e, alle soglie del deserto di Atacama, uomini e donne sono sempre stati sul lato sinistro della barricata. Come ci sarebbe piaciuto votare a Copiap, oppure nell'Antartico, andare alle urne, votare, eleggere: bellissimi verbi lontani. Una cronista informa che, come sempre, molti seggi hanno aperto tardi, perch i cileni evitano di arrivare per primi in modo da non essere nominati scrutatori e non doversene restare l tutto il giorno a compiere un dovere civico e civile.

Noi cileni parliamo in modo un po' particolare, la nostra pronuncia timida, non facciamo differenza tra s, z e c, e abbiamo la tendenza a ridurre la grandezza delle cose a forza di diminutivi. Come vorremmo essere laggi a preparare un asadito, una grigliatina di carne, innaffiandola con un vinito, un buon vinello, per festeggiare la vittoria di Michelle.

Domando a Carmen, la mia compagna, se quando era nell'inferno di Villa Grimaldi avrebbe mai pensato che una di loro - Michelle Bachelet era una di quelle ragazze che non sapevano se sarebbero scampate alla tortura - potesse un giorno diventare la prima donna alla presidenza del Cile. Mi risponde di no, che non avevano speranze cos grandiose, si accontentavano di sopravvivere.

Siamo cileni e sopravvissuti. Fedeli alla nostra cultura, alle cinque del pomeriggio ci prendiamo un tecito, una tazza di t, incollati alla radio, sentendo, per esempio, che quando Longueira, il deputato della destra, LONNA____ andato a votare, gli hanno sputato addosso e dato dell'assassino, e che a un cittadino di Quinta Normal hanno rubato la carta di identit proprio mentre deponeva il voto nell'urna.

La prima volta che abbiamo votato in vita nostra stato nel 1970, e fu emozionante tracciare la croce accanto al nome di Salvador Allende. L'ultima volta successo a Gijn per le elezioni europee: ancora una volta il nostro voto stato socialista, ma con una certa naturale diffidenza. Chi si fiderebbe di socialdemocratici come Blair e Schroeder?

Da Valdivia, Milena Chacn - quanti anni avr la proprietaria di questa bella voce da ragazza? - annuncia che uno schizofrenico ha aggredito un tenente dell'esercito e naturalmente stato arrestato per disturbo dell'ordine pubblico. Prima, un'altra bella voce di cilena ha riferito che a un seggio i soliti ignoti hanno rubato materiale elettorale, cio schede, urne, matite, bottiglie d'acqua, e che Toms Hirsch, il candidato di quelle forze di sinistra non rappresentate all'interno della strana democrazia cilena, pranzava in un albergo di Santiago.

Humitas dice Carmen, d'estate i compagni mangiano humitas. Humitas, le nostre polpettine di mais. Ma secondo me, invece, mangiano locos, i migliori frutti di mare cileni: pi ne proibita la vendita per salvaguardare la specie - per i cinesi e i coreani - pi sono deliziosi. Cosa mangiavi, Toms? Sapevi a quell'ora che nella zona antartica avevi preso pi voti della destra?

Joaqun Lavn, che fino a poco tempo fa era il delfino di Pinochet, aspetta i risultati a casa sua e con cautela. Forse si annusa le ascelle e gli sembra di avvertire il vago fetore di chi politicamente morto. Sebastin Piera, l'altro candidato della destra, gioca a tennis e conserva l'ottimismo di chi sa che seppellir il proprio rivale.

N Lavn n Piera si domandano cosa capiter a Pinochet, in questo momento agli arresti domiciliari con il rischio sempre pi concreto di finire sotto processo per le sue ruberie e i suoi crimini. L'osservatore politico Guillermo Holzmann l'ha spiegato con chiarezza: I candidati pi vicini al pensiero di Pinochet hanno optato per un atteggiamento indifferente, in modo da non essere coinvolti in quello che potrebbe rivelarsi un processo al passato e giocare contro le loro possibilit elettorali. Pinochet di sicuro un cadavere, ma attaccato alla schiena di tutta la destra cilena.

Pudahuel un comune popolare vicino all'aeroporto di Santiago. Una voce di donna legge i risultati del suo seggio: Piera 46 voti, Lavn 43, Hirsch 13, Michelle Bachelet 92. E sono le cinque della sera, esattamente le cinque della sera. E a quest'ora che ricorda cos tanto Garca Lorca, Sebastin Piera si chieder come si comporti storicamente la destra cilena divisa, e la risposta deve sembrargli ovvia: si avvicina alla Democracia cristiana.

Michelle Bachelet, con intelligenza politica, sa che si possono fare valutazioni solo quando sono stati scrutinati almeno il 70% dei voti, ma sa anche che, se non trionfasse al primo turno, la Concertacin para la Democracia - la coalizione di governo che la sostiene - andr in mille pezzi, perch i tentativi di seduzione della destra nei confronti della Democracia cristiana sfioreranno la pornografia.

E sa anche che le speranze nate intorno alla sua personalit di donna tollerante, misurata, pi che capace di presiedere il paese, la porteranno inesorabilmente a creare speranze ancora maggiori e a soddisfare il desiderio pi caro delle cilene e dei cileni: porre fine alla costituzione ereditata dalla dittatura e redigerne un'altra, moderna e repubblicana, per restituire al Cile la piena normalit sociale, per farne un paese civile. Michelle Bachelet sa che tutte le discussioni sulla transizione cilena alla democrazia sono state viziate da falsit e cinismo: dipender da lei se la transizione avr davvero inizio, e potr dirsi compiuta solo quando gli interessi della societ civile non saranno determinati dagli interessi del mercato, dal discutibilissimo modello economico che ha fatto del Cile il paese con la maggiore crescita macroeconomica, ma con la peggiore distribuzione della ricchezza.

Michelle Bachelet deve rappresentare l'urgente cambio generazionale della sinistra. La destra, a suo modo, l'ha gi operato: Lavn era un giovane con una mentalit da dinosauro. Ora un vecchio cane che si lecca le ferite del fallimento.

A sera, quando gli scrutatori e i presidenti di seggio consegnano i documenti che legittimano le elezioni e fanno piani per andare a bersi un buon vino bianco in qualche bettola del quartiere di Bellavista, le cifre rivelano che ci sar un secondo turno e si apre cos spazio per la riflessione. La destra capeggiata da Piera sa gi che cosa fare: seppellire definitivamente il pinochetismo aperto e disinvolto di Lavn e dare fondo a tutti i profumi pi insinuanti, tutti gli aromi papali, tutti gli effluvi vaticani, per conquistare i bigotti, a disagio davanti a un secondo mandato socialista.

Michelle, per la sua formazione, per la sua esperienza e la sua cultura, sa che deve vincere da sinistra, e non c' il compito pi difficile in un paese come il Cile. E Toms Hirsch sa, e se non lo sa deve capirlo, che i voti perduti sono voti per la destra, che la politica l'arte del possibile, della negoziazione faccia a faccia con gli elettori, e che tanto le posizioni immobiliste della destra quanto il massimalismo della sinistra portano sempre e solo allo stesso risultato, alla conservazione di un sistema ingiusto e al discredito della politica, un regalo del cielo che beneficia immancabilmente la destra. giunta l'ora di pensare, ma di pensare come donne e come uomini di sinistra.

Cos, dalla Spagna, vivo le elezioni in Cile. Andare alle urne, votare, eleggere, questi bellissimi verbi cos lontani per le cilene e i cileni che come me vivono di l dal mare e dalla cordigliera.
ISKRA!
00lunedì 16 gennaio 2006 03:09
Vittoria Socialista
La candidata di centrosinistra conquista il 53,22% al ballottaggio
Allo sfidante di centrodestra Sebastian Pinera il 46,77% dei voti
Cile, ha vinto Michelle Bachelet
un presidente donna e socialista

da repubblica.it



SANTIAGO DEL CILE - La leader socialista cilena Michelle Bachelet è la prima donna presidente del Cile - succede a Ricardo Lagos - e anche la prima donna presidente eletta in Sudamerica dal voto popolare. La candidata ha ottenuto, sulla base dello scrutinio ufficiale del 67 per cento dei voti, il 53,22 per cento dei voti contro il 46,77 per cento di Sebastian Pinera, rappresentante della formazione di centrodestra "Allenza per il Cile". Bachelet, che aveva sperato di risolvere la partita già al primo turno l'11 dicembre scorso, quando invece si era fermata a meno del 46 per cento, si è lanciata con decisione nella seconda fase della campagna elettorale, accompagnata dallo stesso capo dello Stato, dai ministri del governo e dai principali esponenti della Concertazione di centro-sinistra, formata da Dc, Partito socialista, Partito per la Democrazia e Partito radicale socialdemocratico.

Analisti e istituti specializzati avevano dato il loro responso già alla vigilia del ballottaggio, sostenendo quasi all'unanimità che la Bachelet si sarebbe seduta sulla poltrona di Lagos. Ipotesi che sembrava accarezzata anche dalla squadra elettorale della ex ministro della Difesa, che aveva già disposto la costruzione di un palco davanti all'Hotel San Francisco, quartier generale della Concertazione. Ottimisti anche alcuni esponenti politici internazionali (l'ex ministro della Cultura francese Jack Lang, l'ex presidente argentino Raul Alfonsin e il consigliere politico del presidente brasiliano Lula, Marco Aurelio Garcia) giunti in Cile per accompagnare la vittoria della candidata socialista.

Aperti a partire dalle 7 (le 11 italiane), i seggi a disposizione degli 8,2 milioni di elettori hanno via via chiuso i battenti dopo nove ore di attività. La tornata elettorale si è svolta nella calma, unica eccezione gli insulti e gli oggetti contundenti lanciati in un seggio di Santiago contro il senatore di destra dell'Udi Pablo Longueira.

All'uscita del seggio, la Bachelet ha dichiarato ai giornalisti: "Mi sento una privilegiata perché sono stata la prima donna ministro della Sanità, e poi della Difesa, e ora potrei diventare la prima donna presidente", ma in questo senso, ha concluso, la cosa più importante "è riuscire a soddisfare le speranze che hanno riposto in me i cileni e le cilene".

Anche Lagos, che lascerà la Moneda l'11 marzo, ha votato a fine mattinata, applaudito e accolto al grido di "2010, 2010", con allusione al prossimo appuntamento per le presidenziali. "Sta terminando il processo elettorale - ha detto - e come in ogni evento di questo tipo ci sono stati confronti decisi, ma alla fine il Cile torna a essere il Cile, e tutti i cileni si uniscono attorno a obiettivi comuni".


(15 gennaio 2006)

Slobodan
00lunedì 16 gennaio 2006 17:18
"ora sorprenderemo il mondo" :25 anni dopo il mitterandiano "Changer la Vie", i socialisti puntano
in alto


Con pochi seggi da scrutinare la candidata della sinistra al 53%
contro il 47% di Sebastian Pinera.

Il Cile festeggia la presidente donna
"Un programma ambizioso subito in atto"


SANTIAGO DEL CILE - Il Cile ha la sua prima donna presidente, l'America Latina saluta il capo di Stato donna che archivia l'esperienza dubbia di Isabel Peron. Michelle Bachelet, che ha vinto con il 53 per cento dei voti contro il 47 per cento del candidato della destra Sabastian Pinera, ha festeggiato ieri sera la vittoria rivolgendosi a migliaia di militanti della Concertazione, il suo partito. Da un palco davanti al suo quartier generale le sue prime parole sono state: "Ho un programma ambizioso e lavorerò senza sosta per applicarlo non appena entrerò alla Moneda".

Bachelet ha poi analizzato la vittoria: "Chi avrebbe mai detto dieci o cinque anni fa che una donna sarebbe diventata presidente del Cile!". "Eppure questo - ha aggiunto - è stato possibile grazie alla democrazia e a milioni di persone". Questo, ha proseguito, "non è la vittoria di una sola persona, di un solo partito, ma di tutti e di tutto il paese. Del Cile, che ha vinto ancora una volta".

La leader socialista ha quindi rivolto parole commosse alla memoria del padre, Alberto Bachelet, generale dell'aviazione morto durante la dittatura di Augusto Pinochet. Fra uno sventolio di bandiere, lancio di coriandoli all'americana, grida di giubilo, e con alle spalle una grande bandiera cilena, Bachelet, che indossava un completo azzurro di giacca e pantaloni, ha parlato per circa 15 minuti, ricordando che "il mondo ha guardato a questa elezione con sorpresa".

"Ed è ovvio - ha osservato - perché siamo riusciti dopo 17 anni a organizzare una transizione ordinata alla democrazia" e perché, "dopo decenni di alti e bassi economici, abbiamo costruito un'economia vibrante che molti vogliono imitare. Siamo orgogliosi per quello che abbiamo ottenuto. Siamo orgogliosi del nostro cammino, ed ora sorprenderemo il mondo ancora una volta".

"Dimostreremo - ha proseguito - che una nazione può diventare più prospera senza perdere l'anima, che si può creare ricchezza senza contaminare l'aria che respiriamo o l'acqua che beviamo. Che si possono stimolare quelli che davanti avanzano, ma che allo stesso tempo si possono aiutare quelli che restano indietro".

Il mio governo, ha poi assicurato, "sarà un governo di unità. Sarà il governo di tutti i cileni". "Ho ricevuto un paese in marcia, pulsante ed ottimista", ha quindi osservato, "perché i cileni debbono ringraziare il lavoro fatto da quel grande presidente che è Ricardo Lagos". Proprio il presidente uscente è stato il primo a congratularsi con la neo eletta. "Mi rallegro - ha detto il capo dello Stato in una telefonata riproposta in diretta dai media - per il tuo arrivo alla massima magistratura. Siamo molto contenti qui alla Moneda, ed ora che i risultati sono più chiari, volevo darti tutto il nostro appoggio e tutto il sostegno per i compiti che ti attendono e che saranno complessi, come tu stessa hai riconosciuto".

"A partire dall'11 marzo - ha detto ancora la Bachelet - non solo il Cile avrà un presidente donna, ma comincerà una nuova tappa, perché voglio che il mio governo sia ricordato come il governo di tutti e per tutti. Nei fatti un paese dinamico, con voglia di crescere, e sempre più integrato al mondo". Alla fine del mio mandato nel 2010 - ha concluso - voglio che i cileni possano "avere un sistema di protezione sociale che dia tranquillità alle famiglie, sapere che avranno un lavoro degno e decente, sapere che i figli potranno studiare, svilupparsi, che una malattia non manderà in malora anni di sforzi, che avranno una vecchiaia dignitosa".

A Michelle Bachelet sono poi arrivate le telefonate di congratulazione di capi di Stato e di governo stranieri.
Fra i primi a parlare con il nuovo capo di stato cileno, il presidente venezuelano Hugo Chavez, il presidente peruviano Alejandro Toledo e il primo ministro spagnolo Josè Luis Rodriguez Zapatero. In seguti sono arrivate le congratulazioni della premier neozelandese Helen Clark e del presidente della Repubblica francese Jacques Chirac.

(16 gennaio 2006) La Repubblica










Bachelet, prima «presidenta» in Sudamerica


Il Paese sceglie la modernità: una donna single, che si dichiara agnostica, figlia di un generale ucciso nelle carceri di Pinochet

Al secondo turno in Cile vince la candidata del centrosinistra: «Mio padre sarebbe orgoglioso»

SANTIAGO - Una donna sulla poltrona che fu di Salvador Allende. Michelle Bachelet conferma i pronostici e batte agevolmente Sebastian Piñera nel secondo turno delle presidenziali cilene. Il distacco appare di sette punti: la Bachelet ha raccolto il 53,5% dei voti e Piñera il 46,5. Il primo discorso la neopresidente l’ha tenuto sull’Alameda, la strada principale di Santiago, tailleur azzurro, davanti a migliaia di sostenitori. E l’ha dedicato al padre, generale dell’Aviazione ucciso nelle carceri di Pinochet: «Ora sarebbe orgoglioso di me. Il mio sarà un governo di Unidad, sarà la presidenza di tutti i cileni».
Nella folla moltissime donne: «Nessuno l’avrebbe immaginato cinque anni fa che il Cile avrebbe avuto una donna presidente. Siamo orgogliosi di quello che abbiamo raggiunto e continueremo su questa strada. Una nazione può diventare più forte e prospera senza perdere la sua anima. Grazie!».
Il bipolarismo ha funzionato ancora una volta in Cile. Dalla fine della dittatura a oggi si sono confrontate sempre le stesse coalizioni di centrosinistra e centrodestra. Non c'è però ancora stata alternanza: con la fine della presidenza Bachelet, nel 2010, la Concertación che riunisce democristiani, socialisti e radicali avrà governato per un ventennio. Mai successo prima.
Non è l'unica novità. Michelle Bachelet è la prima donna eletta nella storia del Cile e di tutta l'America del Sud. Godrà della maggioranza alla Camera e al Senato, che il suo predecessore Ricardo Lagos non aveva. Il profilo personale della presidenta , come si farà chiamare, rompe con la tradizione cilena su molti aspetti.
Nel palazzo della Moneda la Bachelet non avrà un uomo al suo fianco, perchè è single, ma in più occasioni ha dichiarato che le piacerebbe innamorarsi di nuovo. Quelli che sembravano handicap al varo della sua candidatura si sono rivelati punti di forza. Ha avuto tre figli con due uomini diversi, si definisce agnostica in un Paese conservatore e dove la religione è un valore forte. Ma in Cile ormai un bambino su due nasce fuori dal matrimonio e il fatto che il divorzio sia stato legalizzato solo due anni fa non nasconde una realtà di costumi in rapido cambiamento.
La forza dell'immagine di una donna tutta di un pezzo, ma non una dama di ferro, di una madre attenta e scrupolosa che non antepone la carriera alla famiglia è stata difficile da scalfire per i suoi avversari politici. I quali, dopo pochi tentativi, hanno dovuto rinunciare ad attaccarla sulla biografia, preferendo affrontarla sui programmi.
E anche qui è stata dura. Michelle Bachelet è arrivata sulla scena nazionale come pupilla del presidente uscente Ricardo Lagos. La popolarità del predecessore, la buona salute dell'economia (?6 per cento nel 2005) e le armi spuntate dell'opposizione sono risultati ostacoli insormontabili per Piñera. Alla Bachelet i cileni hanno perdonato l'oratoria non impeccabile, l'incertezza davanti alle domande dei giornalisti. I buoni risultati ottenuti in due ministeri importanti (Sanità e soprattutto Difesa) hanno svuotato infine le accuse di scarsa esperienza amministrativa. Il fattore femminile ha avuto importanza relativa. Vero è che nelle liste elettorali cilene le donne sono molte di più degli uomini, ma la distribuzione per sesso dei voti tra i due candidati non mostrerebbe differenze clamorose.
Importante e intelligente è stato anche l'utilizzo in campagna elettorale di un capitolo importante della biografia di Michelle Bachelet, esiliata per quattro anni. Anche se sull'episodio chiave della sua gioventù, i trenta giorni rinchiusa con la madre nel lugubre lager di Villa Grimaldi, la Bachelet ha sempre preferito sorvolare. Solo un accenno ieri notte nel discorso della vittoria: «Ho avuto una vita difficile».
Ma gli anni più bui del Cile hanno avuto un peso relativo in questa campagna elettorale. La Bachelet non ha mai trasmesso rancore o desiderio di vendetta, attenendosi alla linea che la sua coalizione politica ha mantenuto negli ultimi anni: soddisfazione per il lavoro dei giudici sui crimini della dittatura, nessuna interferenza politica.
Sul fronte opposto, Piñera ha portato la destra ad allontanarsi dal legame pesante con l'esercito e la famiglia di Pinochet, cosa che era risultata impossibile 5 anni fa all'allora leader Lavín, che aveva lavorato nel governo militare. Non è solo l'effetto del tempo che passa. E' che le ultime rivelazioni sui conti segreti di Pinochet e la raffica di processi a carico del vecchio generale hanno chiuso definitivamente in Cile il dibattito sugli anni della dittatura. Nel 1999 i «nostalgici» erano ancora il 30-35% dei cileni, oggi la quota non supera il 10%. Il «male necessario», che avrebbe dato il via al boom economico cileno, non è più oggetto di discussione e i programmi delle due coalizioni erano molto simili. Bachelet e Piñera si sono trovati d'accordo persino sulla riforma del sistema pensionistico privato, fiore all'occhiello del Cile iperliberista degli anni Ottanta.

Corriere della sera, 16-01-2006

Modificato da Slobodan 16/01/2006 17.35
ostiaebasta
00mercoledì 18 gennaio 2006 15:13
fotte un cazzo a nessuno?!?
Slobodan
00mercoledì 18 gennaio 2006 15:45
Re:

Scritto da: ostiaebasta 18/01/2006 15.13
fotte un cazzo a nessuno?!?



non sarei così drastico:sono solo articoli,da leggere e via...

eppoi 74 visite non son male,essendoci 8-9forumisti(a parte che almeno 20sono mie, per sentire la canzoncina che mi piace tanto... [SM=x584446] )
ostiaebasta
00mercoledì 18 gennaio 2006 16:01
Re: Re:

Scritto da: Slobodan 18/01/2006 15.45


non sarei così drastico:sono solo articoli,da leggere e via...

eppoi 74 visite non son male,essendoci 8-9forumisti(a parte che almeno 20sono mie, per sentire la canzoncina che mi piace tanto... [SM=x584446] )



altre 20 sono mie

quale canzoncina?
Slobodan
00mercoledì 18 gennaio 2006 16:17
Re: Re: Re:

Scritto da: ostiaebasta 18/01/2006 16.01


altre 20 sono mie

quale canzoncina?



www.michellebachelet.cl/m_bachelet/grafica/ambientes/0/Himno%20Ofi...

[SM=x584493]
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