Esprit florentin

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Slobodan
00venerdì 6 gennaio 2006 16:40
Mitterrand, un Machiavelli all’Eliseo

Jacques Attali anticipa i contenuti della sua biografia sul presidente in uscita a Parigi



PARIGI - Per dieci anni, la Francia ha dissacrato Mitterrand, consegnando alla Storia più ombre che luci di un’epoca. Le biografie ufficiali si sono arrese al fiume di rivelazioni e alla pervicace volontà di scavare negli anfratti più torbidi dell’Eliseo: scandali e affari, la figlia segreta, la malattia occultata, la collaborazione con il regime di Vichy, l’aneddotica su una gestione cinica del potere, fino a leggende su propensioni demoniache che hanno ispirato David Brown, l’autore del «Codice Vinci», il quale sostiene che - per richiesta del presidente - la Piramide del Louvre doveva essere costruita con 666 lastre di vetro, il numero di Satana. Nell’anniversario della morte (8 gennaio 1996), la Francia sembra pentirsi di tanta ostilità postuma e, forse per confronto con l’incertezza del presente, riscopre il «vero» Mitterrand con la nostalgia e l’indulgenza degli orfani. C’è una sinistra che, dal giorno della sua morte, cerca affannosamente gli eredi, una destra che assiste alla morte politica di Chirac e un Paese che in quella stagione controversa rivede ultimi scampoli di grandeur e di protagonismo sulla scena mondiale.
Per quanto ideologicamente lontano anni luce, non è casuale l’ammirazione, almeno strategica, di un probabile prossimo inquilino dell’Eliseo, Nicolas Sarkozy. Film, mostre, documentari, decine di libri e memoriali rievocano una stagione politica comunque straordinaria (la gauche al potere, il socialismo realizzato, i diritti civili, l’abolizione della pena di morte) e rivalutano l’uomo Mitterrand, collocandolo nella letteratura, come un personaggio di Balzac, più che nella Storia.
Fra avvocati difensori nelle librerie e «orfani» nel Paese (non solo a sinistra, come dicono i sondaggi che lo mettono sopra de Gaulle nella gerarchia dei ricordi), esce un ritratto realistico, meno appeso alla somma algebrica di vizi e virtù. Nella grandezza del ruolo, Mitterrand il «Monarca», la «Sfinge» che si celebra vivendo, il Presidente che riempie Parigi di grandi opere come il «Re Sole», è anche l’uomo che ama la vita, la letteratura e le donne, che ha paura della morte, che s’interroga su Dio e sulle ambizioni che il destino gli ha affidato.
«De Gaulle è la Francia, Mitterrand sono i francesi», dice Jacques Attali, per trent’anni consigliere e amico intimo del presidente, tanto da avere un ufficio accanto al suo, con la porta socchiusa sulla vita quotidiana dell’Eliseo. «De Gaulle - spiega - è la Francia idealizzata, un’idea astratta. Mitterrand è il Paese reale, con difetti e qualità dei francesi. È Vichy e la Resistenza, l’ambizione e l’intelligenza, in una parola: l’identità popolare».
La lunga consuetudine con il presidente e la condizione rara della libertà di giudizio - avendo rifiutato incarichi di governo e ruolo di delfino - hanno permesso ad Attali di diventare la memoria vivente della stagione presidenziale e, nello stesso tempo, una delle fonti più attendibili sulla personalità del presidente, senza scadere nell’aneddotica.
Il suo C’était François Mitterrand (Fayard) si fa largo nell’overdose di memoriali (lo psicanalista, l’ex ministro, la figlia segreta, il giovane regista, il giornalista, il magistrato e tanti altri) che per forza di cose raccontano brandelli e parti per il tutto. Attali non nasconde fallimenti ed errori che ha persino condiviso e rievoca senza remore il capitolo delle ambiguità, come quando apprende il passato di Vichy quasi con le lacrime agli occhi, ma costruisce un ritratto a tutto tondo, in cui aspetti leggendari o esoterici vengono banalizzati nella normalità di «un essere umano come tutti».
«Si è molto speculato sulla figlia segreta, non si è capito il comprensibile desiderio di Mitterrand di proteggere la famiglia e la privacy delle sue relazioni. In un certo senso, aveva un’idea moderna di famiglia allargata. Si è fatta molta letteratura sulla sua ossessione della morte, senza comprendere la grandezza di una concezione quasi religiosa, comunque spirituale della vita. Molte volte abbiamo parlato di Dio e dell’Aldilà. Parlavamo di tutto, oltre che di politica e qualche volta sono riuscito a fargli cambiare idea. Senza essere credente, era convinto che la memoria dei vivi assicurasse una sorta di eternità e questo spiega la straordinaria volontà di lasciare una traccia nella Storia. Una volta mi disse che se ci fosse un’altra vita avrebbe voluto rincontrare sua madre».
«I francesi hanno saputo molto tardi della malattia e molti sono ancora convinti che il tumore cominciò a manifestarsi nel secondo mandato. In realtà, i primi sintomi si manifestarono già nell’81, subito dopo la vittoria. Mitterrand era convinto di non arrivare nemmeno alla fine dell’anno. Poi, ogni compleanno venne vissuto come una vittoria contro il tempo: contro un nemico immaginario che - diceva - comunque vincerà la guerra».
Mitterrand, ricorda Attali, era un divoratore di libri, ma fra i preferiti c’era la Bibbia. «Era capace di passare ore a discutere e confrontare personaggi biblici, come grandi metafore della vita e del potere. La Bibbia - disse una volta - è piena di morti e di massacri. La pietà è un sentimento sconosciuto. La Bibbia è appassionante e non c’è bisogno di credere in Dio per trovarla interessante».
«Lo hanno denigrato chiamandolo il Florentin, con riferimento a Machiavelli, ma per lui era un complimento. Sentiva confermate le sue capacità di governo. Molti politici tagliano la legna per riscaldare la casa, lui voleva piantare una foresta, costruire un futuro, anche al prezzo di una provvisoria impopolarità. La storia gli deve riconoscere di aver anticipato eventi straordinari e di aver saputo accompagnarli da protagonista». Attali si riferisce in particolare alla riunificazione tedesca, osteggiata da Mitterrand e dalla Thatcher, secondo molte rievocazioni, in realtà assecondata «alle condizioni della Francia» e grazie al rapporto di reciproca fiducia con il Cancelliere Kohl.
Attali smentisce quello che è diventato un luogo comune nella riflessione della sinistra francese, ossia la tesi del «ravvedimento» rispetto alle scelte radicali all’epoca della conquista del potere. «Mitterrand era assolutamente convinto delle riforme intraprese con il programma comune della gauche , comprese la scelta delle nazionalizzazioni. Non ci fu disillusione, ma consapevolezza che un modello sociale ed economico potesse avanzare soltanto nell’ambito della costruzione europea». Quando socialisti e comunisti uniti conquistano il potere in un Paese dell’Occidente e in modo democratico, Mitterrand confessa paure e strategia: «I finanzieri di tutto il mondo vorranno spingerci alla radicalizzazione o al tradimento. Bisognerà navigare fra i due estremi».
«Navigare è forse il verbo più adatto per un uomo che - ricorda Attali - ne aveva cancellato un altro dal suo vocabolario: rinunciare». Nelle prime righe del libro, c'è un messaggio per il futuro: «Un presidente non s’improvvisa». Potrà essere diverso da Mitterrand, ma dovrà avere molte delle sue qualità.
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