L’attentato è contro Carlo?
Maurizio Blondet
12/08/2006
LONDRA - La storia dell’attentato (mancato) di Londra sarebbe stata decisa dopo la scoperta che Carlo d’Inghilterra sta cercando di espellere dal governo Tony Blair?
Se a raccontare questa storia non fosse Wayne Madsen (1), ci sarebbe da non crederci.
Ma Wayne lo conosco personalmente.
E’ un ex agente investigativo della NSA, ed ha straordinari contatti e fonti.
Vale la pena di ascoltarlo.
Tutto comincia, a quanto pare, con l’inserimento di «cimici» e altri apparecchi d’intercettazione (anche di SMS) a Clarence House, residenza del principe Carlo e dei figli William ed Harris, e nella limousine del principe.
Chi è a mettere o far mettere le cimici?
Un giornalista, Clive Goodman, specialista di teste coronate al tabloid «News of the World», uno dei media del ben noto Rupert Murdoch, l’ebreo padrone dell’impero Fox.
Un giornale che ha già tentato di «incastrare» con scandali e provocazioni due esponenti politici ostili alle guerre di Bush, Blair e Israele. (2)
La cosa a Londra è di conoscenza comune, al punto che Murdoch ha dovuto sospendere Goodman; l’ha sospeso, ma - fatto indicativo - non licenziato.
Ma torniamo alle cimici di Clarence House.
Grazie a queste, il «partito della guerra» scopre che Carlo sta usando la sua influenza per creare una coalizione anti-Bush delle famiglie reali d’Europa, che non sono poche.
In pratica, Spagna, Belgio, Svezia, Norvegia e Lussemburgo si sarebbero accordate per non ricevere in visita di Stato il presidente americano, proprio mentre questo, con l’aiuto di Blair, si prepara a viaggi ufficiali per migliorare la sua immagine in Europa. (3)
Ma c’è di peggio.
Le intercettazioni appurano che Carlo sta lavorando dietro le quinte con Gordon Brown, il cancelliere dello scacchiere in carica, per «fare le scarpe» a Blair.
Si tratterebbe di ripetere la manovra con cui a suo tempo il conservatore John Major buttò fuori dal governo Margareth Tatcher.
Peggio ancora, è parte della congiura il sindaco di Londra Ken Livingstone, «Ken il rosso», molto a sinistra, che la lobby ebraica considera ferocemente ostile.
In cambio del suo appoggio, «Ken il rosso» dovrebbe avere un gabinetto ministeriale importante nel futuro governo di Gordon Brown: governo sempre laborista, ma molto più «rosso» e pacifista.
La prospettiva dà i bridivi ai giudaizzanti guerreschi di Washington, di Londra e naturalmente di Gerusalemme, che sono tenuti al corrente delle intercettazioni (e forse le hanno fatte).
C’è il rischio che il Regno Unito si distanzi dalle guerre di Bush.
Blair vola alla Casa Bianca - siamo a fine luglio - per informare Bush del complotto.
Lo accompagna il fido ministro dell’Interno (Home secretary) John Reid; con Bush è il capo della Homeland Security, l’israelo-americano Michael Chertoff.
Il rischio concreto, dice Blair, è che un governo Brown ritiri le truppe inglesi dall’Iraq, rompa la «relazione speciale» con gli USA e si avvicini alle posizioni europeiste e dell’ONU sul Libano.
Pericolo estremo.
Si decide la contromossa, un contro-complotto che contempla anche un allarme-terrorismo abbastanza clamoroso da ridare qualche plausibilità alla guerra senza fine anti-islamica.
Ma per questo, c’è bisogno di una concertata azione mediatica.
Perciò, subito dopo l’incontro con Bush, il 30 luglio Blair vola in California, dove partecipa alla riunione dei dirigenti della Murdoch’s News Corporation.
E’ una riunione «privata» dei capi dell’impero di Murdoch, che si svolge a Pebble Beach, nel lussuoso albergo del campo di golf «Spanish Bay».
Lì, sono presenti lo stesso Murdoch, più l’immancabile Shimon Perez, già capo di governo israeliano ed ora membro del governo Olmert; ci sono anche Arnold Schwarzenegger, governatore della California e Newt Gingrich, il superfalco repubblicano.
Blair riferisce a tutti del complotto di Carlo.
La presenza dei vari direttori di Fox, Star e Sky News - la costellazione dell’impero mediatico di Murdoch - consente di dare loro istruzioni immediate e accurate su come «gestire» la notizia dell’attentato prossimo venturo.
Anzi, forse viene organizzato l’attentato stesso, lascia intuire Wayne Madsen.
Difatti, domenica 6 agosto, una famiglia di cinque persone (fra cui tre bambini) viene lasciata imbarcare ad Heathrow sul volo American Airlines 109 diretto a Boston.
Solo dopo il decollo la sicurezza «si accorge» che il capofamiglia appare in una lista di sospetti stilata da Scotland Yard in seguito agli attentati del metrò di Londra, e da tenere sotto sorveglianza. Che fare?
Viene avvertito il pilota dell’AA 109, che è già in volo da un’ora.
Ma gli si dice di proseguire nel volo facendo finta di nulla e di arrivare a Boston, perché le autorità americane, già avvertite, erano pronte ad arrestare il sospetto.
Però il pilota - che a bordo è sovrano assoluto - rifiuta il consiglio, e torna indietro.
Il sospetto capo famiglia viene fermato dopo l’atterraggio, e nel bagaglio a mano (di uno dei bambini) si scopre effettivamente la combinazione di esplosivo liquido e innesco elettronico con telefonino (o MP3) che diverrà famosa giorni dopo, e di cui siamo stati così ampiamente informati dai TG.
Scoperta clamorosa.
Ma, stranamente, a parlarne è solo un giornale indiano di Bombay (DNA, Daily News and Analysis) (4) e solo molto più tardi.
Perché?
L’attentato era già stato sventato il 6 agosto, perché non strillarlo subito?
Ogni sospetto diventa lecito, anche il peggiore.
Se il pilota avesse seguito il «consiglio» ricevuto, di continuare il volo fino a Boston,
oggi i media arruolati potrebbero parlare di un ù aereo distrutto in volo da «Al Qaeda», con centinaia di morti.
Invece Bush e Blair, al corrente del già sventato attentato, decidono di andare in vacanza, l’uno nel suo ranch in Texas, l’altro alle Barbados, ospite della lussuosa villa di un lord, Cliff Richard.
In attesa che il caso scoppi, sostiene Madsen, loro si allontanano dal luogo del delitto.
Il caso viene fatto scoppiare invece cinque giorni dopo.
Migliaia di passeggeri devono aprire i bagagli a mano e gettare flaconi di sciroppo, shampoo, profumi, biberon nei cesti appositamente approntati da poliziotti armati fino ai denti, quasi che l’attentato fosse in corso.
Dal Pakistan il servizio segreto ISI annuncia di aver mandato a monte l’attentato arrestando sospetti terroristi a Lahore e a Karachi: che risultano affiliati non ad Al Qaeda, ma al gruppo guerrigliero Lashkar-e-Toiba, noto per attentati compiuti in Kashmir, e sospettato di essere gestito e finanziato dallo stesso ISI.
Ovviamente, l’impero mediatico Murdoch è in prima linea nell’agitare l’allarme.
E con l’occasione, si prende qualche vendetta in più.
Per esempio contro il parlamentare George Galloway, che pochi giorni prima, il 6 agosto, aveva distrutto in diretta una giornalista di Sky News che lo accusava di essere un amico di Hezbollah. (5) E così il Sun, altro giornale di Murdoch, riporta che uno dei 24 «terroristi» arrestati per lo sventato complotto dei cieli, tale Waheed Zaman, «ha incontrato Galloway molte volte».
Galloway ha smentito, e sarà interessante vedere la querela che seguirà, e che può costare qualcosa al miliardario ebreo.
Ma Murdoch è per il momento impegnatissimo a lacerare il complotto vero che ha dato origine al complotto falso: tutti i suoi reporter sono a caccia di qualche scandalo da attribuire a Carlo d’Inghilterra.
Inoltre, tutti i suoi media si agitano per promuovere il ministro John Reid come il più degno successore di Blair.
E’ noto che Blair, alle corde e politicamente morto pur di servire Israele, sta cercando da settimane di pilotare la propria successione, in modo da mettere al suo posto - visto che il suo partito, Labour, è in rivolta - un individuo fidato che continui la «relazione speciale» e tenga le truppe inglesi in Iraq.
E nessuno è più fidato di John Reid.
Noto per le sue posizioni filo-israeliane e neoconservatrici, guarda caso, è lo stesso che Blair ha messo a dirigere le sedute di emergenza di sicurezza nazionale (codice «Cobra») in sua assenza. Sicchè, mentre Blair era in vacanza alle Barbados in attesa dell’attentato sventato, è stato Reid a gestire le clamorose misure di polizia e ad imbeccare la stampa sul grande terrore scampato. (6)
Con questa nomina, Blair ha scavalcato il vice-primo ministro John Prescott, che secondo protocollo doveva dirigere i «Cobra», e che infatti presiedeva il «Cobra» il 7 luglio 2005, il giorno degli attentati nel metrò.
Si dice che Prescott non sia più tanto fidato perché avrebbe aderito al complotto di Carlo d’Inghilterra e di Gordon Brown; e, da quanto appare nelle intercettazioni, non sarebbe il solo ministro blairiano guadagnato alla congiura anti-Cesare.
Non so se Madsen vi ha convinto.
Ma la sua ù storia non è priva di agganci con la realtà né di riscontri.
Se è vera, è il caso di gridare «viva il re».
Re Carlo di Inghilterra, naturalmente.
Non di Savoia.
Maurizio Blondet
Note
1) WayneMadsenReport, 11 agosto 2006.
2) Recentemente, «News of the World» ha dovuto pagare un risarcimento di 150 mila sterline a Tommy Sheridan, un socialista scozzese, per diffamazione: aveva scritto che tradiva la moglie frequentando club «riservati» di donnine allegre, notizia del tutto falsa. Un altro giornalista del tabloid di Murdoch, Mahzer Mahmood, ha avvicinato un altro parlamentare famoso per la sua opposizione a Blair e ad Israele, Gerorge Galloway; fingendosi un ricco uomo d’affari arabo; il giornalista ha offerto denaro a Galloway cercando di indurlo a fare dichiarazioni «antisemite». La vittima non ha accettato il denaro né fatto le dichiarazioni compromettenti. Mahamood continua a lavorare per il giornale, e non è nemmeno stato sospeso.
3) Ci si lasci qui esprimere un breve elogio della monarchia: sovrani il cui potere non dipende da voti e lobby possono essere ancora capaci di gesti di dignità, negati ai politicanti «democratici». Dall’elogio va esclusa, ovvio, la famiglia Savoia.
4) Baljieet Parmar, «Terror grounded: UK foils plot to blow-up 10 airplanes», DNA, 11 agosto 2006.
5) Chi volesse vedere la rovente intervista di Galloway, la può trovare su
www.youtube.com/watch?v=-brkmfrxrQY&eurl= 6) L’attentato dei cieli appare una libera replica di un altro attentato mal riuscito nel ‘94, «Plan Bojinka»: anche allora si trattava di far esplodere aerei in volo con «esplosivo liquido». E difatti un aereo partito dalle Filippine per Tokio era stato caricato con esplosivo liquido nascosto sotto il sedile. L’attentatore, non-suicida, era sceso alla scalo di Manila. Un passeggero giapponese era morto nell’esplosione, ma l’aereo era riuscito ad atterrare. Il mandante del piano era Ramzi Yousef, considerato un ambiguo agente provocatore e doppio, a mezzo servizio fra Al Qaeda e il governo USA, in qualche modo coinvolto negli attentati dell’11 settembre.