Ad auto armata

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virruzz
00mercoledì 18 luglio 2007 15:34
Un bell'articolo su una bella utopia.


Ad auto armata
Guido Viale
www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/17-Luglio-2007/a...

Secondo Michele Serra, di cui sono amico e ho grande stima, i morti sulle strade - 5-7.000 all'anno in Italia, oltre mezzo milione all'anno nel mondo, da 15 a 30 milioni, a seconda delle stime, dall'inizio dell'era dell'automobile; non solo automobilisti, ma anche, e sempre più spesso, pedoni e ciclisti - si dividono in due categorie: quelli fisiologici e quelli eccedentari («Quando l'auto diventa un'arma», pubblicato sulla Repubblica di ieri).
I primi sono necessari: non se ne può fare a meno in una società fondata sulla mobilità. I secondi superflui: sono quelli indotti «dall'asocialità, dalla stoltezza, dall'aggressività». Che siano le automobili, e le regole che presiedono alla produzione e vendita di auto sempre più potenti e a una congestione che non lascia spazio agli uni se non portandolo via agli altri, isolandoci in tante corazze di lamiera, a generare «asocialità, stoltezza, aggressività», non viene minimamente preso in considerazione.
È un po' come dire che in una società che da sessant'anni e più convive con la mafia, anche i morti ammazzati dalla criminalità organizzata si dividono in fisiologici e superflui. Ma la mafia, direte voi, non è un bene pubblico e necessario come la strada. Come la strada no. Ma con l'automobile ha molte affinità. Enormi guadagni, grande impegno di risorse umane, enormi danni per la collettività, enorme capacità di convogliare consenso e di distribuire reddito, controllo capillare del territorio e, dulcis in fundo, molti più morti ammazzati.
L'auto uccide. È un'arma. Una volta tutti i membri - maschi - di una comunità, o tutti coloro che venivano ritenuti degni di appartenervi, avevano il diritto di portarne una. Chi non l'aveva o non poteva portarla era un servo, un paria, un bandito. Ora non è più così.
In una società in cui i vettori del controllo sociale si sono diluiti fino alla dissoluzione, il diritto del cittadino di portare una o più armi esiste ormai solo negli Stati Uniti; con le conseguenze che tutti vediamo. Nel resto del mondo questo diritto è regolamentato e limitato a chi ne può dover fare uso per esigenze di servizio (polizia, soldati, vigilantes, persone particolarmente esposte al rischio di aggressioni o rapine) e solo in servizio o nell'esercizio delle proprie funzioni. Ma che tutti abbiano invece diritto di avere un'auto e di usarla quando dove e come vogliono non viene messo in discussione da nessuna parte.
Certo, l'auto non è solo uno strumento di mobilità: come le armi, è anche e sempre più anche strumento di ostentazione, di sopraffazione, di autogratificazione; ma anche le armi non rispondono solo a esigenze di difesa o di offesa legittime. Quelli della mia generazione hanno visto centinaia di loro compagni appropriarsi, esibire e poi anche usare delle armi per cercare di dimostrare, maschi o femmine che fossero, di «avere le palle»: forse insicuri di poterlo dimostrare altrimenti. Ne è nata una storia tragica.
Tuttavia, quello che emerge chiaramente da una situazione come quella degli Stati Uniti, dove c'è in giro più di un'arma per abitante, è quanto sia difficile «rientrare» da una situazione del genere a una di più o meno estesa «normalità». Con l'auto, ovviamente, è ancora peggio.
Dato che l'auto non uccide solo per contatto diretto - leggi incidenti - ma anche con le sue emissioni e lo stress che la congestione ingenera, sarebbe ancor più necessario che con le armi limitarne l'uso a chi ne ha strettamente bisogno per motivi di servizio, e solo per il tempo in cui questo motivo sussiste, affidando la soddisfazione delle nostre esigenze di mobilità, che giustamente Michele Serra ci ricorda essere alla base della società moderna, ad altri mezzi: al trasporto pubblico di massa e al trasporto flessibile e personalizzato. Costerebbe meno, inquinerebbe meno, ucciderebbe meno.
Certo il rientro nella «normalità» da una situazione eccezionale e destinata a finire quando finirà il petrolio o quando l'effetto serra ci avrà irreversibilmente soffocati è più difficile che disarmare 300 milioni di cittadini americani. Ma perché disperare?



Provate a vivere senza auto, si sta alla grande.
virruzz
00mercoledì 18 luglio 2007 16:00
L'articolo di Serra

Michele Serra: Quando l’auto diventa un’arma
Tratto da “la Repubblica”, 16 luglio 2007
www.feltrinelli.it/FattiLibriInterna?id_fatto=8765
Il movimento febbrile del mondo ha un suo prezzo fisiologico: impossibile pensare a un rischio zero quando si parla di traffico, di viaggi, di miliardi di persone che si spostano a bordo di mezzi meccanici. Proprio per questo non riusciamo ad accettare i sovrapprezzi patologici. Quelli indotti dall’asocialità, dalla stoltezza, dall’aggressività. Chi guida ubriaco o drogato ha la vocazione dell’assassino. E le cronache di questi giorni, disseminate di morti sull’asfalto, sono cronache criminali.
Questa differenza – la differenza tra i cosiddetti "costi del progresso" e i costi dell’asocialità – balza agli occhi ove si confrontino gli enormi passi avanti delle automobili, in termini di sicurezza attiva e passiva, e la tragica irriformabilità dell’elemento umano. Su macchine super-testate, con air-bag e tutori elettronici, lamiere deformabili e scocche salva-vita, pneumatici dalla grip impeccabile, un guidatore scellerato basta ad azzerare ogni progresso tecnologico.
Evidentemente, non si è lavorato sull’elemento umano quanto si è lavorato sulle lamiere, sui freni, sugli asfalti drenanti. O forse – peggio – si è cercato di lavorare anche sull’elemento umano: ma la psicologia sociale è molto meno plasmabile di un’automobile. L’adrenalina è molto di moda. Sono in tanti, specie d’estate, specie di notte, specie ragazzi, quasi sempre maschi, a mettersi al volante come per uno spasmo dimostrativo. La guida diventa uno dei segmenti dello sballo, con la differenza che la pasticca o il beverone alcolico schiantano solo chi li ingurgita, ma se lo sballato è al volante schianta anche gli altri, gli anonimi e innocenti altri dei quali rimane, sul ciglio della strada, solo un patetico cippo di fiori secchi. Ce ne sono così tanti, in giro per l’Italia, da costituire un anonimo e disperso sacrario. Ognuno di noi conosce qualche vittima di questa guerra odiosa e scema, famiglie amputate di un figlio o di un genitore, buchi neri, squarci atroci nel mezzo di una vita quotidiana che si vorrebbe normale. Decine di migliaia di scomparsi, salutati sulla porta di casa e ritrovati all’obitorio: dire "capita" può anche servire da pallida consolazione, ma dire "è capitato per colpa di uno che guidava come un pazzo" no, non è neanche la parodia di una consolazione. Ci si sente vittime di un delitto, e un delitto non è un incidente, un delitto non è il Caso o il Destino, è violenza di uomini contro gli uomini.
Non si sa come fare breccia nella testa della folta, foltissima cosca di chi usa la macchina come un’arma. Ci prova (comincia a provarci) la scuola pubblica, vituperata ma almeno in questo presente e attiva. Ci provano le campagne sulla sicurezza, alcune anche efficaci, ci prova la legge con la patente a punti, i limiti di velocità, i (pochi) controlli consentiti da uno Stato per altro con il bilancio in rosso, e per giunta impopolare in un paese di furbetti, che nell’autovelox vedono un occhiuto repressore e non, come dovrebbero, un robot che vigila per conto di tutti.
Chi passa molte ore al volante è continuamente alle prese con i rischi aggiuntivi, quelli indotti dal menefreghismo e dalla violenza. I sorpassi a destra in autostrada, un tempo raro scandalo, ultimamente sono quasi la prassi. Gli abbaglianti di chi segue piantati nello specchietto retrovisore e poi a un metro dal paraurti posteriore, chiedendo strada con una prepotenza che in una normale coda alla posta sarebbe punita a furor di popolo da tutti i presenti, sono anch’essi pratica costante. Ma dietro gli occhiali neri del guidatore, spesso chiuso in un guscio costoso e luccicante, non leggi solo la fretta della giovinezza (o di una maturità imperfetta). Leggi anche una smania scomposta, un "fate largo" tracotante che è la traduzione sulla strada di una fregola sociale devastante, quasi angosciante, un’insofferenza delle regole, un bullismo di massa che ha i suoi bravi testimonial televisivi, i suoi eroi facili, i suoi profeti.
Poiché l’esacrazione o la paura non paiono placarli, e anzi sembrano attizzarli, bisognerebbe forse riformare ab ovo tutta la comunicazione sulla sicurezza, le varie campagne sociali e pubblicità progresso. Non dire più "sei un criminale", status che magari eccita la vanità di persone del tutto sprovviste di etica. Dire, piuttosto, "sei un povero imbecille", "sei un frustrato, un fallito", facendo leva sull’unico sentimento che pare ancora in grado di incutere soggezione all’esercito di violenti, che è il sentimento dell’inferiorità.
Naturalmente punire di brutto chi viene beccato, ma nel frattempo deridere e svilire la miserabile estetica del gaglioffo al volante, il vitalismo da strapazzo, il gusto vigliacco di far pagare agli altri il proprio brividino di un minuto, di una curva. E come sui pacchetti di sigarette, piazzare sulle nostre amatissime automobili la scritta "questo veicolo può ucciderti, e quel che è peggio può uccidere gli altri". Che all’autolavaggio, quando si è tutti fieri della carrozzeria che brilla, si legga bene, si legga meglio.



[SM=x584466]
V.
zobmie
00giovedì 19 luglio 2007 12:01
Un metodo garantito per ridurre gli incidenti sarebbe quello di maggiori controlli.
In pratica, cioè, dare più multe.

Purtroppo finchè la latitanza (e l'ignavia) di chi è preposto all'osservanza della legge perdura, perdura anche la speranza di farla franca: oggi le probalilità di essere beccato se guidi in modo pericoloso sono infinitesimali.

Ho già citato un esempio che ripeto: abito in una via alberata con divieto di sosta mai rispettato da decenni.
Improvvisamente, non si sa come (probabilmente la faccenda dà fastidio al qualche vip del luogo), si son messi ad appioppare sistematicamente le multe: ebbene, capita l'antifona, oggi il divieto è rispettato almeno al 90%.

Naturalmente oltre a pretendere maggiori controlli occorrerebbe fare anche il gesto dell'ombrello a tutti quiei bravi automobilisti che, colpiti da multe sacrosante, fanno sceneggiate isteriche (magari in compagnia di altri sciagurati come loro) a destra e a manca.
virruzz
00sabato 21 luglio 2007 10:13
Re:

Scritto da: zobmie 19/07/2007 12.01
Un metodo garantito per ridurre gli incidenti sarebbe quello di maggiori controlli.
In pratica, cioè, dare più multe.

Purtroppo finchè la latitanza (e l'ignavia) di chi è preposto all'osservanza della legge perdura, perdura anche la speranza di farla franca: oggi le probalilità di essere beccato se guidi in modo pericoloso sono infinitesimali.

Ho già citato un esempio che ripeto: abito in una via alberata con divieto di sosta mai rispettato da decenni.
Improvvisamente, non si sa come (probabilmente la faccenda dà fastidio al qualche vip del luogo), si son messi ad appioppare sistematicamente le multe: ebbene, capita l'antifona, oggi il divieto è rispettato almeno al 90%.

Naturalmente oltre a pretendere maggiori controlli occorrerebbe fare anche il gesto dell'ombrello a tutti quiei bravi automobilisti che, colpiti da multe sacrosante, fanno sceneggiate isteriche (magari in compagnia di altri sciagurati come loro) a destra e a manca.




Investire nei trasporti pubblici (anche notturni) e incentivare all' uso delle bici nei centri piu' piccoli vietando la circolazione delle auto non sarebbe meglio?

L' Italia ha un clima cosi' mite che l'auto nei piccoli comuni e nelle piccole citta' non serve a niente, se in citta' come Amsterdam, Bruges e Ghent dove piove SEMPRE la bici si usa cosi' tanto, perche' no in Italia?

Bisognerebbe disincentivare l' uso dell'auto. Chiuso in quella scatola di metallo l'aggressivita' e l'asocialita' aumenta a dismisura. Io ho la fortuna di andare a lavoro a piedi e uscire di sera a piedi o coi mezzi (naturalmente non in italia) e la qualita' della vita vi assicuro aumenta a dismisura (e anche i soldi nel portafogli).

I controlli vengono in coda, come ultima soluzione. Per anni, irresponsabilmente, sono andato in disco, nei pub eccetera in auto e bevendo senza freni. In tutti questi anni mai, dico mai sono stato fermato per un controllo del tasso alcoolico. Tante volte per il controllo dei documenti senza che gli importasse minimamente il mio stato o quello del guidatore di turno.
La legge sulla patente a punti non ha cambiato una virgola.

V.
ISKRA!
00sabato 21 luglio 2007 15:30
Re: Re:

Scritto da: virruzz 21/07/2007 10.13
L' Italia ha un clima cosi' mite che
V.



E vabbè... vallo a dire ad uno del trentino... [SM=x584425]
virruzz
00lunedì 23 luglio 2007 17:54
Re: Re: Re:

Scritto da: ISKRA! 21/07/2007 15.30


E vabbè... vallo a dire ad uno del trentino... [SM=x584425]



Il problema li sono le salite [SM=x584433]
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